
Per risanare un peccatore servono dunque la confessione e il dolore. E il dolore deve avere in sé l’appello alla misericordia di Dio, per distinguersi dal rimorso. San Paolo fa questa distinzione scrivendo ai Corinti: “Perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte” (2Cor 7,10). Il rimorso o “dolore del mondo” si risolve in tormento, gelosia, invidia, indignazione; ma il dolore che ha rapporto con Dio si risolve in espiazione e speranza.
Il perfetto dolore proviene dalla consapevolezza di avere offeso Dio, il quale merita tutto il nostro amore; questo dolore, o contrizione, che si prova nella confessione, non è mai una tristezza stizzosa, irritante, deprimente, ma una tristezza da cui viene consolazione. Ha detto Sant’Agostino: “Il penitente dovrebbe sempre addolorarsi e godere del proprio dolore”. L’esperienza di un peccatore pentito che riceve il sacramento del perdono è stata molto ben descritta dalla Beata Angela da Foligno. Essa ci racconta del tempo in cui ebbe per la prima volta cognizione dei propri peccati:
“Risolsi di confessarmi a lui. Confessai i miei peccati completamente. Ricevetti l’assoluzione. Non sentivo amore, ma soltanto amarezza, vergogna e dolore. Poi per la prima volta volsi lo sguardo alla Divina Misericordia; conobbi quella Pietà che mi ha tratta dall’inferno e che mi ha dato la grazia. Fui illuminata e pertanto conobbi la misura dei miei peccati. Compresi così che avendo offeso il Creatore avevo offeso tutte le creature… Per mezzo della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi invocai la pietà di Dio e, inginocchiata, pregai per avere la vita. Subitamente credetti di sentire la pietà di tutte le creature e di tutti i santi. E allora ricevetti un dono: un gran fuoco d’amore e la forza di pregare come non avevo mai pregato… Iddio scrisse il Pater Noster nel mio cuore con un tale accento della Sua bontà e della mia indegnità che mi mancano le parole per esprimerlo”.
È difficilissimo che il mondo comprenda un dolore come quello; ma ciò dipende dal non sentire un amore come quello. Più uno ama, più indietreggia all’idea di ferire l’oggetto amato e più soffre quando gli succede di farlo. Ma questo dolore non dovrebbe renderci aridi e disperati come quelli che dicono: “Non mi perdonerò mai di aver fatto questo”. È un vero inferno per l’anima che rifiuta di accettare il perdono che gli viene concesso perché ha ferito l’Amore Divino.
(Fulton J. Sheen, da “La Pace dell’Anima” edizioni Fede e Cultura)