Perché l’uomo moderno non trova Dio? “Il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo”

QUI DI SEGUITO POTETE LEGGERE IL PRIMO CAPITOLO DEL NUOVO LIBRO DI FULTON SHEEN: “IL REGNO DI DIO È UNA SFIDA. UNA GUIDA PER IL CIELO” EDIZIONI MIMEP.

Il libro uscirà nelle librerie il 10 Aprile, ma si può già acquistare sul sito della casa editrice Mimep delle suore, dove si trova anche l’anteprima scaricabile in PDF. Qui il link per l’acquisto 👇

1. UN SENZATETTO A CASA SUA: GESÙ BAMBINO

“La conoscenza della vita morale presuppone la rimozione di ogni pregiudizio. Non tutto ciò che è nuovo, è anche vero; ciò che viene chiamato moderno, può essere solo una nuova definizione per un antico errore. Il Divino, che è la base della vera moralità, è spesso dove meno ci si aspetta di trovarlo.”

Ogni artista ha la sensazione di essere a casa nel suo studio, così come ogni patriota nel proprio paese, e ogni uomo nella sua abitazione. Ci si dovrebbe quindi aspettare che il Creatore si senta a casa nella Sua stessa creazione, che Dio trovi accoglienza nel mondo che ha fatto. Eppure, il fatto più sorprendente della storia umana, è che quando Dio venne sulla terra fu un senzatetto a casa Sua. “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11). Prima ancora che il Verbo fatto carne venisse alla luce, Maria e Giuseppe cercarono invano un luogo dove potesse nascere Colui al quale appartengono i cieli e la terra. E così, quando la storia umana avrà scritto la sua ultima parola sulle pergamene del tempo, la frase più triste di tutte sarà: “Non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7). C’era posto nell’albergo per quanti recavano sul petto le insegne imperiali romane, per le figlie dei ricchi mercanti d’Oriente, per tutti coloro che indossavano sontuose vesti di porpora e abiti eleganti; c’era posto per chiunque, tranne per il padre putativo e la madre di Colui che stava portando la Redenzione nel mondo. Perciò, dovettero vagare lontano dall’albergo, fuori nella stalla, in una spoglia grotta dove i pastori guidavano le loro greggi durante le tempeste. In quel piccolo rifugio, con le bestie della mangiatoia come compagne, all’incrocio fra le tre grandi civiltà di Menfi, Atene e Roma, accadde qualcosa – l’unico fatto davvero importante che avvenne nel mondo: il Cielo discese sulla terra e il grido di Dio si manifestò nel vagito di un Bambino.

Un paradosso davvero sorprendente! Quando Dio venne sulla terra non c’era posto nell’albergo, ma ci fu posto nella stalla. Quale lezione si nasconde dietro l’albergo e la stalla? Che cos’è l’albergo, se non il luogo di ritrovo dell’opinione pubblica, la sede degli umori del mondo, la residenza degli uomini mondani, il luogo di raduno della gente alla moda e di chi conta nella gestione degli affari e della vita pubblica? Che cos’è la stalla se non il luogo degli emarginati, il rifugio per le bestie, il riparo dei miserabili, il simbolo di chi agli occhi dell’opinione pubblica non conta nulla, di chi può essere ignorato perché considerato di nessun grande valore o importanza? Qualunque uomo di mondo avrebbe pensato di trovare il Divino in un albergo, ma nessuno di trovarlo in una stalla. Infatti: “Il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo”.

Se in quei giorni le stelle del cielo, per un tocco di magia, si fossero unite insieme, formando parole d’argento, e avessero annunciato la nascita dell’Atteso dalle Nazioni, dove sarebbe andato il mondo a cercarlo? Il mondo avrebbe ricercato il Bambino in qualche palazzo affacciato sul Tevere, in qualche dimora dorata di Atene o in qualche albergo di una grande città dove si riunivano i ricchi, i potenti ed i grandi della terra. Non sarebbero stati minimamente sorpresi di trovare il neonato – il Re dei re – disteso su una culla d’oro, circondato da principi e filosofi che gli rendevano omaggio e obbedienza. Ma sarebbero stati assai sorpresi di scoprirlo in una mangiatoia, adagiato sulla ruvida paglia, riscaldato dal fiato di un bue e un asinello, per espiare la freddezza del cuore degli uomini. Nessuno si sarebbe immaginato che Colui, le cui dita possono fermare il moto di un pianeta, sarebbe stato più piccolo della testa di un bue; che Colui, il quale ha scagliato il sole nei cieli, sarebbe stato un giorno riscaldato dal fiato delle bestie; che Colui, il quale può farsi una tettoia con le stelle dello spazio, sarebbe stato protetto da un cielo tempestoso sotto il tetto di una stalla; che Colui, il quale aveva fatto della terra la Sua futura dimora, sarebbe stato un senzatetto nella propria casa. Nessuno si sarebbe aspettato di trovare il Divino in questa condizione, ma andò proprio così, perché: “Il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo”.

Mi chiedo se non sia questa la ragione per cui il mondo moderno non è capace di trovare il Divino. Non c’è dubbio che Lo stia cercando, se non altro perché sente la propria insufficienza, e desidera un Dio che gli offra il perdono per i suoi peccati e il balsamo per curare le sue ferite. Cerca una Divinità che lo liberi dalla terribile inquietudine e dal vuoto della vita. Ma dove cerca il Divino? Lo cerca nei quartieri eleganti, negli alloggi signorili, nei palazzi dei potenti, laddove domina la pubblicità, la propaganda, il successo, la popolarità e la modernità. Il mondo moderno cerca il Divino e la soluzione ai propri mali nei miti del superuomo di H. G. Wells, nell’umanesimo di Irving Babbitt, nel pansessualismo di Sigmund Freud, nel cinismo di Bertrand Russell, nel naturalismo delle religioni moderne, nel libro del mese, nel Cristo reinterpretato a piacimento, nella nuova morale, nella nuova psicologia, nella nuova scienza, ma in nessuno di questi posti si trova il Divino. Come non fu trovato negli alberghi di duemila anni fa, così non si troverà in quelli del secolo presente, perché ciò che fu vero per il primo giorno rimane vero per il nostro: “Il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo”.

Supponiamo ora di suggerire al mondo moderno che il Divino da esso ricercato, possa essere trovato unicamente nella Chiesa; supponiamo di far intendere a tutti i ricercatori del Divino che la verità da essi desiderata, possa trovarsi solo nel Papa, il vicario di Cristo, il quale come successore di Pietro espone fedelmente l’insegnamento di Cristo; supponiamo di annunciare a tutti che la Vita Divina cui il mondo anela, scaturisca soltanto dalla fontana dei Sette Sacramenti; che il perdono da esso implorato, discenda dalla mano sollevata di un sacerdote nel confessionale; che solamente attraverso l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio può preservarsi integra la struttura della società, e solo nella morale della Chiesa può essere riconquistata la virtù personale. Supponiamo, ancora, che oggi al mondo moderno venga detto: “Betlemme è sempre presente e continua fino ai nostri giorni perché, per un sublime miracolo dell’amore di Dio, la stalla è ora il tabernacolo, la mangiatoia è ora il ciborio, la paglia è ora nei fiori dell’altare, le fasce che avvolsero Gesù Bambino sono ora le bianche specie del pane, e il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità di Cristo, vivono tra noi in quel tabernacolo proprio come nella culla di Betlemme”. Supponiamo, dunque, che un tale annuncio stupefacente sia fatto ai giorni della nostra epoca – un annuncio tanto vero, quanto sorprendente!

Ma quale sarebbe la risposta del mondo moderno? Risponderebbe così: “Questo è assurdo! La Chiesa è antiquata, medioevale, in ritardo coi tempi; è ignorata da tutto il mondo accademico; i suoi dogmi sono dei miti; la sua morale è superata; la sua fede nella Presenza Reale di Cristo sull’altare è assolutamente inammissibile! Perché mai Nostro Signore dovrebbe vivere sotto i veli delle specie eucaristiche del pane? Perché si dovrebbe cercare la Verità in ciò che il mondo ignora? Nessuno oggi pensa mai di andare in Chiesa alla ricerca del Divino”. Ma questo è esattamente ciò che il mondo pensò duemila anni fa. A nessuno venne mai in mente di andare in una stalla alla ricerca della Verità e della Vita, cioè del Figlio di Dio. Eppure è proprio là che l’avrebbero trovato, poiché: “Il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo”. Il mondo ha sempre mancato l’incontro con il Divino, o per averlo cercato nei posti sbagliati o per non averlo riconosciuto pur avendolo incontrato. Ha cercato il Divino nel potere, nella popolarità, nel progresso, nella scienza; ha sempre ignorato la possibilità di trovarlo nella semplicità, nell’imprevisto, nella sconfitta e nella fragilità. Eppure, il segno del Divino sarà sempre quello di un’apparente debolezza: “Questo sarà per voi il segno: troverete un Bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia “ (Lc 2,12). Il mondo ha sempre ricercato il Divino nella grandezza di una Torre di Babele, ma mai nella piccolezza di una Betlemme; negli alberghi altolocati dell’opinione pubblica, ma mai nelle stalle ignorate dei dimenticati; nelle culle d’oro, ma mai nelle culle di paglia; l’ha sempre cercato nella forza, ma mai nella debolezza. Tuttavia, il Divino è venuto nel mondo come un Bambino bisognoso in una mangiatoia, ed ha lasciato il mondo come un Uomo indifeso sulla Croce. Se vogliamo perciò trovare Dio, dobbiamo cercarlo nella debolezza e nella sconfitta, ma una debolezza che nasconde in sé la potenza e una sconfitta che si manifesterà come vittoria. Dio sarà trovato solo da coloro che cantano l’inno dei vinti, da quanti Lo cercano nelle stalle dimenticate e fra le ignobili croci. Questa lezione fondamentale dell’incarnazione dev’essere sempre ricordata, mentre si svolge il grande dramma della morale cristiana.

Nei capitoli seguenti saranno trattati vecchi temi, ma sempre validi, tra i quali: Dio come fondamento della moralità, la necessità della mortificazione, la bellezza della vita religiosa, la santità del matrimonio, la realtà del peccato, la necessità della Redenzione, il giudizio di Dio dopo la morte, l’esistenza dell’inferno e la gioia della sconfitta; cioè tutti i pilastri dell’edificio morale cristiano, ormai così a lungo dimenticati da potersi ritenere delle novità al giorno d’oggi. Sono tutte verità senza casa, perché gli alberghi del mondo moderno le respingono; tutte verità senzatetto, perché pochi le accolgono nel cuore; tutte massime senza fissa dimora, perché sono le benvenute solo per chi il mondo ignora e disprezza; tutti doni non graditi e rifiutati, come lo fu il Bambino di Betlemme. Il mondo, non si aspetta certo di trovare Dio in una tale morale senza fissa dimora, ma il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo, e come scrisse G. K. Chesterton: “Solo dove Lui era senzatetto, voi ed io ci sentiamo a casa”.

(Fulton J. Sheen, da “Il Regno di Dio è una sfida: una guida per il Cielo” edizioni Mimep)

“IL REGNO DI DIO È UNA SFIDA” UN NUOVO LIBRO CAPOLAVORO DI FULTON SHEEN

Ringraziamo le suore della casa editrice Mimep di Milano, per la nuova pubblicazione di un testo inedito di Fulton Sheen, tradotto per la prima volta in italiano: “Il Regno di Dio è una sfida. Una guida per il Cielo”.

Il libro uscirà nelle librerie il 10 Aprile, ma si può già acquistare sul sito della casa editrice Mimep delle suore, dove si trova anche l’anteprima scaricabile in PDF. Qui il link per l’acquisto 👇

La Prefazione è di Padre Angelo Bellon, sacerdote domenicano, curatore del sito Amici Domenicani e della famosa rubrica “Un sacerdote risponde”.

Dalle prime righe della prefazione:

“Iniziando la lettura dei 15 capitoli che compongono questo libro di Mons. Fulton Sheen, si avverte subito una sensazione particolare: è come se si venisse introdotti in un corso di esercizi spirituali. Ogni capitolo costituisce una meditazione che mette a fuoco alcune verità fondamentali della nostra esistenza. Dall’inizio alla fine, in maniera più o meno intensa, si avverte la consapevolezza di non trovarsi solo di fronte a verità pur importanti per la vita di ogni uomo, ma dinanzi a Dio stesso che parla all’anima. Proseguire nella lettura di queste pagine è come fermarsi e mettersi in ascolto di Dio che getta luce nella profondità della nostra esistenza, per illuminarla e orientarla. Non si è abituati alla lettura di un testo come questo. Ma si avverte subito che è una grazia averlo tra le mani. Non di rado capita di dire a se stessi: devo rileggere questo capitolo perché è troppo prezioso per la mia vita.” (Padre Angelo Bellon)

Dalla quarta di copertina:

Una nuova traduzione delle meditazioni del grande arcivescovo americano Fulton Sheen. In questo volume l’autore sviluppa il tema del Regno di Dio attraverso gli elementi essenziali del cristianesimo e della vita morale. Di fronte alla chiamata di Dio, siamo invitati ad accettare la sfida e a rinunciare a tutto ciò che ci allontana dal Regno.
I temi trattati: Dio come fondamento della moralità, la necessità della mortificazione, la bellezza della vita religiosa, la santità del matrimonio, la realtà del peccato, la necessità della Redenzione, il giudizio di Dio dopo la morte, l’esistenza dell’inferno e del purgatorio.

“Il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo. È venuto nel mondo come un Bambino bisognoso in una mangiatoia, ed ha lasciato il mondo come un Uomo indifeso sulla Croce. Se vogliamo perciò trovare Dio, dobbiamo cercarlo nella debolezza e nella sconfitta, ma una debolezza che nasconde in sé la potenza e una sconfitta che si manifesterà come vittoria”. (Fulton Sheen)

INDICE:

PREFAZIONE – 1. UN SENZATETTO A CASA SUA: GESÙ BAMBINO – 2. IL SINAI INTERIORE: LA COSCIENZA – 3. L’EMERGENZA: IL GRANDE DRAMMA DELLA MORALE – 4. IL CASTIGO PER LA NEGLIGENZA: LA PARABOLA DEI TALENTI – 5. MORIRE PER VIVERE: LA MORTIFICAZIONE – 6. ROSE NEL GIARDINO DI DIO: LA VITA RELIGIOSA – 7. FINCHÉ MORTE NON CI SEPARI: LA VITA MATRIMONIALE – 8. I LEGAMI DI ADAMO: DIFFICOLTÀ E RIMEDI NEL MATRIMONIO – 9. IL FRUTTO DELL’AMORE: I FIGLI – 10. LA MORTE DELLA VITA: IL PECCATO – 11. LA RESA DEI CONTI: IL GIUDIZIO DI DIO – 12. LE FIAMME PURIFICATRICI: IL PURGATORIO – 13. IL RIFIUTO DELL’AMORE: L’INFERNO ETERNO – 14. IL PARADOSSO DELLA SALVEZZA: IL SACRIFICIO – 15. L’INNO DEI VINTI: IL GRIDO DI BATTAGLIA DEL CRISTIANO.

Il libro uscirà nelle librerie il 10 Aprile, ma si può già acquistare sul sito della casa editrice Mimep delle suore, dove si trova anche l’anteprima scaricabile in PDF. Qui il link per l’acquisto 👇

I CATTOLICI TIEPIDI CHE CERCANO COMPROMESSI CON IL MONDO E NEGANO LA FEDE: “I veri discepoli di Cristo sono agli antipodi della mentalità del mondo”

UN ESTRATTO DAL NUOVO LIBRO DI FULTON SHEEN “IL PIANTO DEL CRISTO”. UN’ANTOLOGIA IMPERDIBILE.

Il libro è appena uscito e si può acquistare sul sito della casa editrice Mimep delle suore. Qui il link: 👇

Il pianto del Cristo

Il secondo tipo di anime che possono trovare un aiuto nella prima parola sulla Croce sono coloro che, pur avendo il grande dono della fede, si lasciano influenzare dal mondo e negano o nascondono la propria fede. Stiamo parlando di quei cattolici un po’ pavidi che dicono: “Certo che ho mangiato la carne alla festa di venerdì scorso. Non vorrai che mi faccia ridere dietro?”. Oppure “Sì, ho iscritto mio figlio ad un college non cattolico. Sono più aperti, sai, e mi darebbe fastidio farlo studiare con i figli dei poliziotti”. Oppure “Quando in ufficio tutti ridevano della Messa, non ho detto che sono cattolico, il capo è fortemente anticlericale, non posso rischiare di perdere il posto”. Sicuramente, cattolici senza spina dorsale come questi avrebbero una vita più facile se rinunciassero alla fede. Gli uomini d’affari potrebbero farsi meno scrupoli nel fregare la concorrenza; le passioni giovanili troverebbero più facile sfogo; i mariti potrebbero avere una seconda moglie; le mogli un terzo marito; mogli e mariti potrebbero concedersi tutti i lussi che vogliono, senza preoccuparsi di risparmiare in vista della futura crescita della famiglia; i politici aumenterebbero i loro consensi se non fosse evidente la loro matrice cattolica; gli avvocati potrebbero fare più soldi, se non dovessero confessare i loro peccati e porvi rimedio; i medici sarebbero più ricchi se fossero meno coscienziosi e preoccupati della Giustizia divina. Non ci sono dubbi: la vita dei cattolici nel mondo sarebbe più facile se fossero “un po’ meno cattolici”. Non c’è una sola frase nella predicazione di nostro Signore che prometta che il mondo ci amerà di più perché credenti. Al contrario, c’è una lunga sfilza di passaggi che prevedono che il mondo ci odierà perché siamo Suoi:

– Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. (Gv 15, 19) – Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. …chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. (Mt 10, 32–33; 38–39) – Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano! (Mt 7, 14) – Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi. (Mc 8, 38) – Se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà. (2Tm 2, 12) – E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. (Mt 5, 30)

I veri discepoli di Cristo sono agli antipodi della mentalità del mondo: i puri di cuore verranno derisi dai seguaci di Freud; i miti saranno dileggiati dai marxisti; gli umili saranno calpestati dai giovani rampanti; i Sadducei-liberal li chiameranno reazionari; i Farisei-reazionari li chiameranno liberal. Nostro Signore ha insegnato: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.” (Mt 5,11). Tutti questi cattolici che cercano il compromesso sono invitati a mettere in pratica la fortezza del nostro Salvatore sulla croce, che, incurante della morte, per redimerci, ci ha insegnato a non curarci del disprezzo del mondo pur di giungere alla nostra redenzione. Non dobbiamo dimenticare le parole di nostro Signore: “Chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10, 33). E se i cattolici non sono abbastanza forti nell’amore per Cristo, perché si vergognano di Lui, allora che almeno siano forti per paura dello scandalo, perché si vergognano della propria pavidità. Il cattivo esempio dato dai cattolici è spesso usato come scusa per giustificare il male. Perché il mondo si scandalizza di più davanti ad un cattivo cattolico che non davanti ad un qualsiasi altro cattivo? Perché la caduta di un cattolico è commisurata all’altezza degli standard che si propone. La fortezza di cui parliamo è fortezza morale, non prevaricazione, è la fortezza che ci permette di dichiarare la nostra fede in Dio anche davanti ai nemici che ci hanno inchiodato sulla croce del disprezzo, la stessa fortezza di Eleazar che, davanti all’ordine di Antioco che lo obbligava a mangiare carni proibite dal giudaismo, a chi gli consigliava di fingere di cedere, rispose “Non è affatto degno della nostra età fingere… Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente.” (2 Mac 6, 24;26).

Il terzo tipo di anime a cui la prima parola sulla croce può ispirare una maggiore fortezza, comprende coloro che sono convinti della verità, ma non vogliono pagarne il prezzo. La conversione implica pagare un prezzo, e il prezzo è il disprezzo del mondo. Molte anime rimangono bloccate tra la convinzione che quello che predica la Chiesa è vero e la certezza che aderirvi significa farsi dei nemici. Una volta varcata la soglia della Chiesa, queste persone si trovano circondati da una certa ostilità, là dove prima c’era un clima di amicizia. Ci sarà chi li accusa di essere impazziti, potrebbero perdere il lavoro; gli amici, fermi sostenitori della libertà di coscienza, potrebbero voltar loro le spalle proprio perché hanno liberamente seguito la propria coscienza. Alcuni li prenderanno in giro per la loro frequentazione delle funzioni, considerate pratiche superstiziose, mentre la loro fede nel soprannaturale sarà vista come dabbenaggine. Se avessero aderito a qualche strana religione orientale, dietro ad un qualche adoratore del sole o fondatore di una nuova religione, sarebbe andato tutto bene, era un loro diritto, ma aderire alla Chiesa, è un po’ andar fuori di testa, come quando dissero a nostro Signore “che aveva un demonio”. Perché questo cambio repentino di atteggiamento davanti alla conversione alla Chiesa? È semplice: convertirsi alla Chiesa ci fa entrare in un’altra dimensione: quella soprannaturale. Cambia il nostro sistema di valori, i nostri scopi, il modo di pensare, i criteri di giudizio, scegliamo tutto quello che è agli antipodi dello spirito del mondo. Il mondo con il suo odio per la disciplina, l’amore dei piaceri e l’indifferenza verso la verità non può sopportare una vita fondata su Cristo e preoccupata della salvezza dell’anima. “Vi ho scelti dal mondo per questo il mondo vi odia… Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo… sappiate che prima di voi ha odiato me.” (Gv 15, 19. 18).

Oggi molti vogliono una religione che assecondi il loro modo di vivere, invece di una fede che richieda qualcosa da loro. Il risultato è che, per rendere la religione più popolare, troppi profeti l’hanno annacquata, fino a che non si è più distinta in alcun modo da un sentimentalismo secolare. La religione diventa così un bell’oggetto, un’opera, non più una vita, non una responsabilità. Senza dubbio una religione che sia più permissiva con le debolezze umane può risultare più popolare; ad esempio una religione che neghi l’esistenza dell’inferno per chi ha sbagliato o che non dica nulla contro il divorzio e coloro che non tengono fede alle promesse fatte. Tuttavia, come cattolici, non possiamo alterare il messaggio di Cristo; è Lui, non noi, che ha fondato la nostra religione. Inoltre, l’unica religione che può davvero aiutare il mondo è una religione che sappia opporsi alla mentalità del mondo. Molti americani si sentono così delusi da un Cristo senza croce, da guardare di nuovo alla Croce come l’unico punto di riferimento valido che dia un significato alla vita. Magari non riescono a trovare le parole per esprimere il loro conflitto interno, ma sentono indistintamente che alla base della loro infelicità c’è un contrasto tra volontà diverse: i litigi in famiglia hanno questa radice; la nostra miseria ha anch’essa questo alla base; il nostro egoismo che contraddice il volere di Dio. Dobbiamo riscoprire che la pace è là dove la nostra volontà coincide con il volere di Dio, che vuole la nostra realizzazione. Quando disobbediamo al suo volere, non stiamo affermando la nostra indipendenza, ma stiamo solo mutilando la nostra personalità, come rovineremmo un rasoio, se pretendessimo con esso di tagliare un albero. Siamo di Dio, e solo in Lui possiamo essere felici. La nostra infelicità ha la sua origine nella nostra ribellione. La nostra pace può solo venire se sapremo tornare con tutto noi stessi al Suo servizio. Di qui la Croce, il simbolo del sacrificio per amore.

(Fulton J. Sheen, da “Il pianto del Cristo” edizioni Mimep)

“BEATI I PURI DI CUORE PERCHÉ VEDRANNO DIO” UN ESTRATTO DAL NUOVO LIBRO IMPERDIBILE DI FULTON SHEEN

UN ESTRATTO DAL NUOVO LIBRO DI FULTON SHEEN “IL PIANTO DEL CRISTO”

Il libro uscirà nelle librerie il 20 Febbraio ma si può già pre-ordinare e prenotare sul sito della casa editrice Mimep delle suore. Qui il link: 👇

Il pianto del Cristo

Sulla montagna delle Beatitudini, all’inizio della sua vita pubblica, nostro Signore ha predicato: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Ora, alla fine della sua vita, sul Calvario, Cristo si rivolge ai puri di cuore: “Figlio, ecco tua madre, Donna, ecco tuo figlio”. (Gv 19, 26–27). Certo, questa non è una beatitudine del mondo. Oggi il mondo vive quella che potremmo definire “l’età della carnalità”, dove si inneggia al sesso, si rifugge da ogni restrizione, la purezza viene presa per freddezza, l’innocenza per ignoranza e gli uomini e le donne si atteggiano a piccoli Budda che, con gli occhi chiusi e le braccia incrociate sul petto, si soffermano a guardarsi nell’intimo e finiscono per pensare solo a se stessi. Contro l’esaltazione del sesso e il conseguente egocentrismo, nostro Signore ben sottolinea la terza beatitudine: “Beati i puri di cuore”. La terza beatitudine e la terza parola sulla croce sono strettamente legate, l’una è la teoria, l’altra l’esempio pratico che ne deriva, perché è la purezza di nostro Signore che ha reso possibile il dono di sua Madre. Questa è la prima lezione che ci viene da questa terza parola: Maria è diventata nostra Madre perché suo Figlio è la purezza fatta persona. In nessun altro caso egli avrebbe potuto consegnarcela così totalmente e di tutto cuore.

Per capire come Maria ha potuto diventare nostra Madre attraverso la purezza è sufficiente soffermarci un momento a pensare a che cos’è la carne. Anche nei suoi momenti di soddisfazione legittima, la carne implica fondamentalmente l’egoismo. I piaceri della carne mirano alla propria soddisfazione, prima che a quella di un altro. Anche la legge dell’autoconservazione implica, lo dice la stessa parola, una sorta di egoismo. Se l’oggetto del desiderio, poi, non è legittimo, la carne porta ad un egoismo estremo perché, per la propria soddisfazione, arriva a tiranneggiare l’altro, a consumarlo solo per mantenere ardente il fuoco del proprio desiderio. Ma Dio nella sua saggezza ha istituito due vie di salvezza dall’egoismo della carne: il sacramento del Matrimonio e il voto di Castità. Ciascuno di questi due istituti non solo rompe il circolo vizioso dell’egoismo, ma apre ad un orizzonte più vasto di servizio all’altro. O, per dirla in altri termini: chi è più puro di cuore, è meno egoista. La prima via d’uscita dall’egoismo della carne, istituita da Dio stesso, è il Matrimonio. Il matrimonio annienta l’egoismo, prima di tutto perché fonde due individui, in una vita di collaborazione, dove entrambi non vivono più per se stessi ma per l’altro; inoltre il matrimonio annienta l’egoismo perché, nella vita di coppia, distrugge l’infatuazione passeggera che in un istante nasce e muore; inoltre distrugge l’egoismo perché l’amore reciproco tra marito e moglie obbliga la coppia ad uscire da sé, ad incarnarsi in una nuova creatura, nei figli, per la cui cura si devono affrontare sacrifici, senza i quali, come fiori senza acqua, i due rischierebbero di appassire e morire.

Questi però sono solo gli aspetti negativi del Matrimonio rispetto alla carne. Infatti quello che più conta è che il matrimonio cura dall’egoismo usando la carne, mettendola al servizio degli altri. Si aprono così nuovi scenari e nuove prospettive dove l’affetto e il sacrificio si rendono disponibili alla carne; gli altri diventano più importanti di noi stessi; l’ego non è più qualcosa di circoscritto ma si spalanca agli altri, può persino arrivare a dimenticare se stesso. Ciò è così vero che spesso si osserva che le famiglie numerose sono meno egoiste delle piccole. Un marito e una moglie possono vivere l’uno per l’altra, ma un padre e una madre devono morire a se stessi perché vivano i loro figli. Nella loro vita non c’è più posto per qualsiasi attaccamento egoista o sregolato. Dove è il loro cuore, là è anche il loro tesoro. Hanno sacrificato la carne perché altri possano vivere, è questo il punto da cui parte l’amore.

Dio però ha pensato ad un’altra via d’uscita dall’egoismo della carne, qualcosa di ancora più completo del Matrimonio: il voto di Castità. Gli uomini e le donne che scelgono questa via non lo fanno per evitare i sacrifici implicati dal matrimonio, ma per liberarsi dalla schiavitù della carne ed essere liberi di dedicarsi ad un compito più grande. Come dice san Paolo: “chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso”. (1Cor 7,32–33). I voti di castità sono una forma più alta di sacrificio rispetto al Matrimonio, semplicemente perché assicurano un maggior distacco dai piaceri della carne. Maggiore è la purezza, minore è l’egoismo. Chi sceglie la via dei voti è libero di servire ed amare non un solo uomo o una sola donna, o i suoi figli, ma tutti gli uomini e tutte le donne, e tutti i bambini, nel vincolo della carità in Cristo Gesù, nostro Signore.

Il Matrimonio libera la carne dall’egoismo individualista per il servizio della famiglia; il voto di castità libera la carne non solo per quanto riguarda il cerchio ristretto della famiglia, dove l’egoismo può non essere vinto del tutto, ma la spalanca a tutta la grande famiglia dell’umanità. Ecco perché la Chiesa chiede a chi si consacra per la redenzione del mondo di pronunciare il voto di rinunciare ad ogni egoismo per appartenere non ad una famiglia, ma a tutte. Ecco perché nella grande famiglia del regno di Dio, il sacerdote viene chiamato “Padre”, perché molti sono i suoi figli, non generati nella carne, ma nello spirito. Ed ecco perché nelle comunità religiose femminili, viene chiamata “Madre” colei che guida il piccolo gregge in Cristo. Ed ecco perché in molti ordini maschili, gli uomini si chiamano fra loro “Fratelli”, e le donne di uno stesso ordine si chiamano “Sorelle”. Sono tutti membri di una sola nuova famiglia, nella quale i legami sono definiti non dalla nascita nella carne ma dalla nascita in Cristo, tutti alla ricerca disinteressata della gloria di Dio e della salvezza dei peccatori, nell’obbedienza a colui che amano più di ogni altro al mondo: il Santo Padre, il successore di Pietro e vicario di Cristo.

Ora, se il Matrimonio e il voto di castità liberano dall’egoismo della carne, e se una maggior purezza è la premessa necessaria per un servizio più esteso agli altri, che cosa ci dobbiamo aspettare quando incontriamo la purezza perfetta? Se una persona diventa sempre meno egoista, man mano che progredisce nella purezza, che cos’è allora la perfezione, la totale assenza di peccato e la purezza perfetta? Se crescendo la purezza, cresce l’altruismo e l’abnegazione, che cosa ci possiamo aspettare dall’innocenza? La risposta è il sacrificio perfetto. Se una persona è totalmente libera dall’egoismo, non cerca il proprio comodo, né si cura della propria vita, ecco che in lei si ripete il sacrificio della Croce. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. (Gv 15,13). Al di là di ogni legame o vincolo di sangue, nella sua purezza assoluta, Cristo ci ha detto “chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre”. (Mt 12,50)

Nostro Signore sulla croce era così distaccato dal proprio tornaconto, così estraneo ad ogni egoismo, così disinteressato alla carne, che ha potuto guardare a sua Madre, non come se fosse solo sua, ma facendone la Madre di tutti. La purezza perfetta è abnegazione perfetta. Ecco perché Cristo dona sua Madre a noi, rappresentati da Giovanni: “Ecco tua madre”. Non voleva essere egoista, non voleva tenere tutta per sé la più bella ed amabile delle madri: era pronto a condividere sua Madre con tutti noi. E così, ai piedi della croce, ha donato a noi la Madre di Dio, la Madre di tutti gli uomini. Nessuno avrebbe potuto fare una cosa simile, i vincoli della carne e dell’egoismo avrebbero prevalso. I legami della carne sono troppo stringenti perché chiunque di noi possa condividere sua madre con un’altra persona. Ma la purezza assoluta può farlo. Ecco perché la beatitudine sui puri di cuore ben si abbina alla terza parola: l’altruismo ha toccato l’apice, la purezza assoluta, non solo Cristo ha dato la vita per la nostra salvezza, ma ci ha anche dato sua Madre perché non restassimo orfani. La purezza dunque non è qualcosa di negativo; non è solo un bocciolo che non si è dischiuso; non è qualcosa di freddo, non è l’ignoranza della vita. Forse che la giustizia è solo l’assenza di disonestà? E la misericordia coincide con l’assenza della crudeltà? La fede è solo la mancanza di dubbi? La purezza non è solo la mancanza di sensualità, è altruismo che nasce dall’amore, dall’amore più elevato di tutti. Chiunque ha fatto un voto è innamorato, non di un amore che muore, ma dell’amore eterno: l’amore per Dio. La castità è appassionata, Francis Thompson dice di lei che è “la passione senza passione, un’impetuosa serenità”. La castità non è una virtù impossibile. Anche chi non la possiede può esserlo di fatto. Sant’Agostino chiama Maria Maddalena “l’archetipo delle vergini”. Pensateci! Lei un esempio di verginità! Quanto a verginità sant’Agostino la equipara alla Beata Madre di Dio, Maddalena, una semplice prostituta. Questa donna ha riacquistato la sua purezza ricevendo l’anticipo dell’Eucaristia, la sera che ha lavato con le sue lacrime i piedi di Cristo. Quello è stato il suo contatto con la purezza, che ha segnato così profondamente la sua vita da portarla, poco tempo dopo, ai piedi della croce, quel venerdì santo. E chi era con lei allora? Proprio la Beatissima Madre. Che coppia: una donna il cui nome, solo pochi mesi prima, era sinonimo di peccato accanto alla Santissima Vergine! Se Maria ha voluto bene alla Maddalena, perché non potrebbe amare anche noi? Se c’è speranza per la Maddalena, allora c’è speranza anche per noi. Se lei ha ritrovato la purezza, allora anche noi possiamo riacquistarla. E come potremmo se non attraverso Maria, perché altrimenti chiamarla Purissima Madre, se non fosse perché rende puri anche noi?

Chiunque può rivolgersi a Maria, non solo i peccatori pentiti come la Maddalena, ma anche i vergini o le brave madri, perché lei è sia Vergine che Madre. La Verginità da sola potrebbe mancare di qualcosa. C’è come qualcosa di incompleto, una facoltà non utilizzata. La maternità da sola potrebbe mancar di qualcosa. Nella maternità si rinuncia a qualcosa. Ma in Maria “nulla manca e nulla è perduto” (Sheila Kay Smith). C’è verginità anche nella maternità – “la primavera di un maggio che non finisce mai”. La purezza, allora, non è egoismo. È resa, è altruismo, è sacrificio. Raggiunge il suo massimo quando la Madre di Gesù diventa nostra Madre. Basta con quegli stupidi modi di dire del mondo: “l’amore è cieco”. Non può essere cieco! Nostro Signore ci ha detto espressamente “Beati i puri di cuore, perché vedranno” – vedranno addirittura Dio! Maria, apri i nostri occhi!

Il libro uscirà nelle librerie il 20 Febbraio ma si può già pre-ordinare e prenotare sul sito della casa editrice Mimep delle suore.

Qui il link: 👇
https://www.mimep.it/catalogo/pastorale/riflessioni-pastorali/il-pianto-del-cristo/

LA BATTAGLIA FINALE. CONSIDERAZIONI PROFETICHE DI FULTON SHEEN SUI NOSTRI TEMPI. “Il mondo è incamminato verso la persecuzione e l’apostasia”

DALL’ULTIMO CAPITOLO DEL LIBRO “VERITÀ E MENZOGNE” Pubblicato per la prima volta nel 1931 e ristampato recentemente dalle edizioni Mimep.

PIETRO O PAN? LA BATTAGLIA FINALE

La civiltà occidentale rappresenta il Figliol Prodigo della parabola

La storia dello sviluppo del Neo-Paganesimo è quella del Figliol Prodigo. Il figlio minore della parabola è la civiltà occidentale, che nel sedicesimo secolo si presenta al padre spirituale della Cristianità e chiede una parte del capitale accumulato lungo i secoli. Il padre spirituale porge alla civiltà occidentale una parte di quel capitale, sotto la forma necessaria di una Chiesa, della Divinità di Cristo, dell’ispirazione delle Sacre Scritture, dell’esistenza di Dio e della necessità della religione. Nel corso degli ultimi quattro secoli, la civiltà occidentale ha dilapidato la sua parte di patrimonio. Nel secolo sedicesimo ha sperperato la credenza nella Chiesa; nel diciassettesimo, l’ispirazione delle Sacre Scritture; nel diciottesimo, la Divinità di Cristo; nel diciannovesimo, l’esistenza di Dio, e nel ventesimo, la necessità della religione. Al giorno d’oggi il capitale è scomparso, ed ora l’occidente si ciba soltanto di ghiande che vanno sotto il nome di «Nuovo Pensiero» e di «Progresso». Non è trascorso molto tempo da quando il padre della Cristianità poteva contare sull’aiuto di quelle «sette», che si definivano cristiane, per difendere le grandi verità fondamentali del Cristianesimo, come la Divinità di Cristo e la necessità di salvare le singole anime. Ma quel tempo è ormai tramontato. Molti dei più famosi predicatori d’oggi non predicano se non un Umanesimo glorificato, e sono pochissimi quelli che oserebbero parlare della giustizia e del castigo di Dio. In realtà, siamo praticamente costretti a sostenere da soli il peso della lotta in difesa della verità Cristiana, e nella storia del Cristianesimo questo è del tutto nuovo. Al giorno d’oggi, la religione di Cristo si trova a dover affrontare una crisi, come probabilmente non ha mai affrontato dal tempo dell’imperatore Costantino. Voglio dire che fino ad oggi la Chiesa si è trovata a dover condurre una specie di guerra civile, nella quale un’idea cristiana combatteva l’incomprensione di un’idea altrettanto cristiana, od in cui una setta si opponeva ad un’altra setta. Nessuna delle grandi eresie dei primi sedici secoli dell’era cristiana negava l’esistenza di Dio, ma fraintendevano il concetto della Trinità, la natura di Cristo, la natura della Grazia Divina, e la missione della Chiesa. Negli ultimi quattro secoli, il conflitto non è stato tanto fra le idee, quanto fra le sette. Oggi ci troviamo di fronte a qualcosa di assolutamente nuovo. Non ci troviamo impegnati in quella che si potrebbe definire una guerra civile, ma dobbiamo affrontare quella che Hilaire Belloc ha definito «un’invasione», vale a dire la potenza di idee tanto estranee al Cristianesimo tradizionale, quanto il Cristianesimo era estraneo al Paganesimo. Questa nuova forza d’invasione è il Neo-Paganesimo, che si può descrivere come l’atteggiamento inteso a sostenere la sufficienza della scienza umana senza la fede e la sufficienza della forza dell’uomo che non ha bisogno della grazia. In altre parole, i suoi due dogmi sono: lo Scientismo, come deificazione del metodo sperimentale e l’Umanesimo, quale glorificazione dell’uomo che fa Dio a sua immagine e somiglianza.

Paganesimo e Neo-Paganesimo

Il Neo-Paganesimo non è identico al Paganesimo antico. Le differenze più importanti fra i due sono le seguenti: il Paganesimo antico era una confusione e quello attuale è un divorzio. Il Paganesimo antico non negava Dio, affermava anzi l’esistenza di forze supreme, quali Zeus, Giove ed il «Dio Ignoto di Atene» (Atti 17, 23). Di fatto, confondeva però la divinità e l’umanità, la materia e lo spirito, Dio e l’uomo, in tale misura da ridurli tutti ad una specie di unità. Così avveniva che erano chiamati «dèi» gli idoli d’oro e d’argento, di marmo e di bronzo. Vi era molto da condannare in quel tipo di teologia, ma vi era anche una parte di nobiltà. Perché i pagani davano ai loro dèi la forma concreta di statue? Solo perché, nella loro ignoranza, non sapevano distinguere tra spirito e materia? Non è forse più probabile che nel rendere gli dèi visibili nella materia, essi esprimessero vagamente un’istintiva aspirazione del cuore umano verso l’Incarnazione, verso il Dio fra gli uomini? Non è forse vero che la Natività di Betlemme fu la realizzazione di quegli ideali pagani così rozzamente espressi? Ed il fatto stesso che l’idolatria sia uscita dal mondo quando vi entrò la conoscenza dell’Incarnazione, in certo modo prova che il cuore dell’uomo si sentì soddisfatto nei suoi desideri e vide realizzati i suoi ideali.

Il Neo-Paganesimo, invece, non confonde l’umano col divino – li separa. Ne effettua il divorzio. Esso opera, con un’affilatissima spada, la divisione fra le cose che Dio aveva unito, decretando che mai si sarebbero dovute separare: quelle tremende realtà che sono Dio ed il cosmo, la natura e la grazia, la fede e la scienza, il corpo e l’anima, la morale e la coscienza, marito e moglie, maternità e Provvidenza, azione divina e libertà umana. Dopo averle fatte divorziare, il Neo-Paganesimo getta immediatamente via la parte migliore, e con l’altra metà si mette a vivere peggio di prima. Ecco perché oggi esiste la religione senza Dio, il Cristianesimo senza il Cristo, la psicologia senza l’anima. Ecco perché vi sono il Behaviorismo, l’Umanesimo, e tutte le altre nuove formule. Da questo punto di vista, l’antico Paganesimo era da preferirsi al nuovo, perché almeno riconosceva la necessità di una potenza al di sopra dell’uomo, fosse pure soltanto un dio del focolare domestico, che con la sua collera sarebbe stato in grado di gettare una doccia fredda sul febbrile fervore del controllo delle nascite. La seconda differenza che corre tra il vecchio ed il nuovo Paganesimo è che l’antico adorava le forze vitali della natura, ed entrava con esse e col cosmo in una comunione essenziale per mezzo di una certa magia ritualistica, che appartiene pur sempre al dominio della religione. Il nuovo Paganesimo continua ad adorare le forze della natura, ma entra in comunione con quest’ordine cosmico, non per mezzo di una magia ritualistica che appartiene al dominio della religione, ma per mezzo di un formalismo matematico che appartiene al dominio della scienza. Con la sua magia ritualistica, il vecchio Paganesimo aveva il vantaggio di ammettere il fedele nell’oscura zona di confine dell’ignoto e di fornirgli un’ispirazione ed un timore reverenziale, che sono estranei al Paganesimo moderno con il suo cosmo ad orologeria dotato di lancette rotanti e con tenebrosi quadranti dello spazio-tempo. Il primo Paganesimo trovò un Dio, sebbene soltanto un Dio Ignoto. Anche il Paganesimo moderno trova un Dio – ed il suo nome è «Uomo». La terza differenza consiste nella natura delle due specie di paganesimo. Quello antico era la perversione delle facoltà naturali ed il cattivo uso della ragione da parte di coloro che sarebbero potuti giungere ad una conoscenza del Dio invisibile attraverso le cose visibili della terra. Era questa la base del rimprovero che San Paolo rivolse ai Romani: «In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen» (Rm 1, 18–25). Il nuovo Paganesimo, invece, è la perversione delle facoltà soprannaturali, lo spegnimento della fiamma del Cristianesimo, della luce e della rivelazione di Gesù Cristo. Il vecchio Paganesimo spense la luce della candela della ragione, il nuovo ha spento la luce del sole della Fede. L’unico modo per comprendere la degradazione in cui l’uomo è caduto sta nel conoscere le altezze da cui è precipitato, e nessuno vorrà negare che è impossibile cadere da un’altezza maggiore di quella della speranza e della vita che il Cristo portò su questa terra, ed in questo senso la caduta del Paganesimo moderno è più grave rispetto a quella dell’antico.

Avvenire e conseguenze del Neo-Paganesimo

Quale sarà l’avvenire del Neo-Paganesimo? Se continueranno le attuali condizioni religiose e filosofiche, non è improbabile che tra un secolo o due l’universo religioso si dividerà in due grandi mondi – il mondo di Pietro, ed il mondo di Pan. In primo luogo, quel gruppo nella nostra società di coloro che credono nell’esistenza di Dio, nella Divinità del Cristo, nella necessità della redenzione e della santificazione spirituale, di coloro che indossano la divisa di Roma, pur non possedendone ancora l’anima, di coloro che si trovano fuori dalla Chiesa, ma onestamente cercano la verità e la luce, e pregano per averle; tutti questi, in virtù della logica della loro condotta, finiranno lentamente, certamente e inevitabilmente per venerare Pietro o la Chiesa di Roma. L’altro gruppo, invece, che non smette di blaterare intorno all’onnipotenza della scienza, il quale crede che l’idea di Dio debba essere adattata alla nuova astrofisica, e che la vita futura non sia se non un avanzo di idee barbariche – questo gruppo, per la logica della sua stessa condotta, finirà lentamente, inevitabilmente e con assoluta certezza per adorare Pan o il Paganesimo. Ma non esisteranno più «Peter Pan», compromessi, Federazioni di Chiese, né ecclesiastici di «larghe vedute». Saremo caldi, oppure freddi. Ci riuniremo con Cristo, o ci disperderemo. Il giorno delle mezze misure sarà tramontato. Quale sarà la conseguenza? Probabilmente ci sarà un conflitto tra queste due forze, perché, come non esiste una nazione che sia metà schiava e metà libera, così non potrà esistere una Cristianità metà cristiana e metà pagana. A voler trarre le conseguenze di ciò che avviene oggi, si può dire che il futuro conflitto tra Pietro e Pan prenderà la forma di una lotta fra le forze che adorano lo Stato e quelle che adorano Dio. Via via che l’uomo cessa di credere in Dio, il suo Dio diventa lo Stato. Si tornerà a recitare la scena grandiosa e tragica avvenuta al cospetto di Pilato, nella quale la Chiesa, come il Cristo, saranno sempre misconosciuti dal mondo e nel lontano futuro, come nei giorni dell’antico Paganesimo, sorgerà un secondo Tertulliano a invocare la giustizia, come già fece il primo nell’anno 193:

«In quanto all’Imperatore, ed all’accusa di alto tradimento portata contro di noi, vi dico che la salvezza di Cesare non sta nelle mani dei soldati che lo difendono. Noi invochiamo per l’Imperatore l’aiuto del vero Dio. Anche se egli ci perseguita, noi siamo tenuti a pregare per coloro che ci perseguitano, come potete leggere nei nostri libri, che non sono segreti, e dei quali vi siete spesso impadroniti. Preghiamo per lui, perché l’Impero sta fra noi e la fine del mondo. Consideriamo i Cesari quali vicegerenti di Dio e giuriamo sulla loro incolumità (non sul loro genio, come si vorrebbe). In quanto alla lealtà, Cesare appartiene veramente più a noi che a voi; perché fu il nostro Dio a istituirlo. È per il suo bene che ci rifiutiamo di chiamarlo dio: Padre della Patria è un titolo migliore. Nessun Cristiano ha mai complottato contro un Cesare; i famosi cospiratori ed assassini furono tutti pagani, dal primo all’ultimo. La pietà, la religione, la fede, sono la nostra migliore offerta di fedeltà».

S’intensificano sulla terra sia le forze del bene che quelle del male

Via via che il mondo diventa migliore in una direzione, diventerà peggiore in un’altra. Via via che si fa violento in una direzione, si farà santo in un’altra. Quando l’individuo odia il suo corpo, nel senso che lo domina, lo mortifica, lo perseguita, allora la sua anima diventa migliore, si spiritualizza, si perfeziona, si santifica. È questo il significato delle parole di Nostro Signore: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà» (Mt 16,25). Ciò che è vero per l’individuo, vale anche per la razza. Man mano che diventa malvagia, diventerà anche santa. Via via che Pan si fa potente, si farà potente anche Pietro. Quando la Chiesa è perseguitata, e pare che si trovi alla vigilia della morte, essa sarà spiritualmente viva, in attesa della sua risurrezione, come lo era il Cristo, anche nell’ora della sua deposizione nel sepolcro.

Il mondo è incamminato verso la persecuzione e l’apostasia

Tale intensificarsi delle forze del bene e del male porterà ad una sola conclusione: alla persecuzione ed all’apostasia. All’apostasia, perché le menti poco profonde si lasceranno influenzare dalla dottrina Neo-pagana intorno alla sufficienza della conoscenza umana, priva della fede; alla persecuzione, perché i cuori superficiali si lasceranno influenzare dalla dottrina Neo-pagana sulla sufficienza delle forze umane senza l’aiuto della grazia. L’apostasia sarà l’orgoglio in azione, ossia la temporanea supremazia delle mode passeggere sulle immutabili verità eterne. La persecuzione sarà l’Umanesimo all’opera, cioè il sentimentalismo impazzito. La persecuzione è una forma di sadismo sociale, per cui la società, a somiglianza degli individui pervertiti, trae un piacere dalle sofferenze che infligge. Non funziona soltanto a sangue freddo, ma anche nell’ardente furore che è la degenerazione. Il Cristo non ha mai promesso al suo popolo la pace e il riposo della terra: ha invece promesso la persecuzione. «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Ogni nazione, o comunità, che sia diventata specialmente cara al Cristo per il fiorire degli interessi dello spirito, ha raggiunto tale grazia attraverso la persecuzione. L’Inghilterra ha pagato col sangue la sua fede, e quel sangue sarà il prezzo per acquistare la sua seconda conversione. È col sangue sparso durante la Rivoluzione, che la Francia ha acquistato il diritto di fregiarsi del titolo di figlia primogenita della Chiesa tra le nazioni d’occidente. L’Irlanda ha pagato per la sua fede così tante volte da diventare una delle nazioni del mondo più amate da Dio. In America abbiamo venti milioni di Cattolici che non sono stati riscattati con il sangue. Dovranno un giorno pagare il prezzo della fede? Dovranno soffrire, prima di raggiungere nuove altezze? Potranno sfuggire alla legge per cui il Venerdì Santo è il preludio alla Domenica di Pasqua? Se verrà la persecuzione, quando verrà? Nessuno lo sa, all’infuori di Dio. Ma intorno al futuro, vale la pena di notare un fatto. Va comparendo oggi nei nostri giornali una serie di articoli, molti dei quali manifestano palesemente lo scopo di distruggere tutto ciò che è cristiano e timorato di Dio. Alcuni di tali articoli, che nelle pagine di questo volume sono stati confutati, appartengono ancora al regno della teoria. Ma per quanto ancora vi rimarranno? Quanto tempo occorre perché un’idea esca dalle pagine di un testo per spaziare nel vasto mondo? Quanto impiegheranno le dottrine atee di molte nostre Università per strisciare fuori dalle aule di studio, ed essere tradotte nel linguaggio dell’uomo comune? Quanto tempo passerà prima che l’uomo s’impadronisca di tali idee, trattandole, non come teorie, ma come principi di condotta? Cinquanta anni or sono la teoria di Darwin era confinata nelle aule universitarie. Ora la gente, nella stragrande maggioranza, vive con l’illusione di aver letto Darwin, e molti parlano dell’evoluzione come se sapessero di che cosa stanno discutendo. Già tutti parlano di Einstein, sebbene pochissimi sappiano di che cosa Einstein parli. Può darsi che le teorie immorali dell’etica dell’auto-espressione e della filosofia atea dello spazio-tempo, impieghino molto tempo prima di arrivare ad insinuarsi nel midollo e nel cervello dell’uomo comune. Ma quando saranno riuscite nel loro intento, noi avremo la persecuzione, oppure l’avvento dello Stato Sovietico. L’unica differenza tra l’ateismo dello Stato Sovietico, ed il tono degli articoli già citati, è quella che corre fra la teoria ed i fatti. Il Bolscevismo non scrive articoli sui giornali scientifici, ma traccia col sangue le parole della sua fede comunista sui gradini delle chiese. Non scrive contro le cattedrali: le abolisce. Non s’interessa del brivido che deriva da «un’ardita sfida alla moralità», bensì della soddisfazione animale che deriva da una bruciante fiamma di odio distruttivo nei confronti di Dio. È Pan lanciato nell’azione.

La Chiesa è l’unica forza capace di sconfiggere il Paganesimo

Se si vuole evitare questa condizione di ateismo, se si vuole respingere il Paganesimo, si può contare soltanto su una forza nel mondo, la «Chiesa», e con questa parola intendo una Chiesa, non le chiese. La Chiesa Cattolica è l’unica autorità sulla terra che del Paganesimo conosca ogni cosa. Non è nata dal Paganesimo, ma in esso. L’ha visto crescere, ha visto i suoi dèi precipitare dal trono; ha visto l’adorazione resa al suo Stato. Ma ne ha visto anche la decadenza, e noi sappiamo, come lo sa la storia, che la sola causa del declino subito dal Paganesimo fu la forza civilizzatrice e soprannaturale del Cristo esistente e vivente nella Sua Chiesa. La Chiesa si trovò al letto di morte del Paganesimo. L’ultima bestia del Paganesimo si è cibata del corpo di uno dei suoi fedeli. L’ultimo dio sconfitto venne abbattuto da un convertito, passato dal Paganesimo al Cristo. Adesso come allora, la Chiesa è la sola forza che conosce il Paganesimo, e quando il mondo lo chiama nuovo, noi lo ricordiamo come molto antico. Quando il mondo lo ritiene una forza progressista, noi lo vediamo come la degradazione della barbarie. Sappiamo che se lo si deve di nuovo schiacciare, com’è stato schiacciato già una volta, a costo del sangue e della vita, noi saremo pronti a farlo. Quando avverrà quel conflitto, se dovrà avvenire, non lo sappiamo; ignoriamo del tutto ogni particolare, e non conosciamo l’entità delle forze che scenderanno in campo; non sappiamo quali specie di spade saranno sguainate – sappiamo una cosa sola, e cioè che in quella lotta contro le forze delle tenebre e gli errori del Paganesimo, in quella guerra tra Pietro e Pan, se la Verità sarà vittoriosa, saremo noi a vincere. «Se la Verità» … Ah!… ma la Verità non potrà mai essere sconfitta!

GIOVINEZZA, MATURITÀ E VECCHIAIA: “È bene che l’uomo sappia di dover affrontare il Giudizio Finale”

Una tra le espressioni più belle sulla relazione tra maturità e giovinezza, è quella offerta da Sant’Agostino: «Che la vostra vecchiaia sia come l’infanzia e la vostra infanzia simile alla vecchiaia; la vostra saggezza sarà allora immune dall’orgoglio e la vostra umiltà non priva di saggezza». Cicerone scrisse riguardo ai numerosi vantaggi della vecchiaia e ne indicò uno nell’addolcimento delle passioni, man mano che impariamo a correre più agilmente nonostante le briglie. La vita, col passare del tempo, si esprime meno in poesia e sempre più in prosa; gli entusiasmi si affievoliscono, riducendosi in una specie di prudenza impotente. Alcuni credono di aver abbandonato le passioni, ma in realtà sono le passioni ad averli abbandonati. Pensano di aver dominato la vita, e invece sono stati dominati e incatenati dalle abitudini che non riescono a spezzare.

Il poeta tedesco Schiller non condivide questa idea. Egli sostiene che è una realtà fisiologica il progressivo dominio della natura animale sulla natura spirituale nell’età matura, per il semplice fatto che anima e corpo sono molto più intimamente fusi di quanto non lo fossero nella giovinezza. È vero che prima le passioni erano più forti e violente, ma la natura morale aveva anche una maggiore capacità di ripresa, ed era quindi in grado di tornare più prontamente all’adesione dei valori morali. E come più facile era in gioventù il recupero fisico, così pure più agevole risultava, a meno di gravi eccessi, il recupero spirituale o morale. Il moltiplicarsi delle cattive azioni che producono abitudini negative, le abitudini negative che generano la schiavitù del peccato, non incontrano nella mezza età quella resistenza che trovarono negli atteggiamenti più flessibili e moralmente consapevoli della giovinezza.

Sembra lo confermi anche il Cardinal J. H. Newman, quando sostiene che la maggior parte delle persone di mezza età o è immersa in una pesante apatia, oppure è assorbita dai piccoli interessi materiali della vita quotidiana. Questi ultimi, quando non siano contrastati, rendono l’uomo egoista e indifferente verso tutto, a eccezione del proprio benessere o del proprio profitto. Negli intellettuali si manifesta un fenomeno analogo nell’indifferenza verso qualsiasi tipo di trasformazione morale o spirituale; nei meno colti o nei grossolani e nei volgari, esso si presenta come compiacimento nelle più violente eccitazioni. È particolarmente significativo che uno dei grandi momenti poetici di Dante sia quello in cui l’uomo incontra le tre fiere: il feroce leone, simbolo dell’ira e della superbia; la presta e maculata lonza, simbolo della lussuria; e il magro, affamato lupo, simbolo dell’avarizia. Il poeta colloca le tre fiere nel mezzo del cammino della nostra vita mortale. Confucio disse che l’uomo è dominato dalla sensualità nella giovinezza, dall’orgoglio nella maturità, dall’avarizia nella vecchiaia. Qualunque siano le opinioni, è bene che l’uomo sappia di dover affrontare il Giudizio Finale. Con Dryden dovrebbe dire:

«Disfatto sono ormai dalle cure e dall’età; E nel punto di abbandonare l’ingrata scena: Sostenuto senza profitto a spese del Cielo, Vivo di rendita per la Sua Provvidenza».

VECCHIAIA

La vecchiaia ha molti aspetti buoni e santi. L’Antico Testamento considera la vecchiaia un premio per l’obbedienza ai genitori. San Paolo parla dell’età anziana come di un dono misterioso della Provvidenza, che ci permette di fare penitenza per i peccati della gioventù. L’anzianità diventa anche fonte di saggezza ed esperienza cui attingono i giovani. Michelangelo, che visse fino a circa novant’anni, ripeteva spesso mentre scolpiva nel marmo, un motto che suonava pressappoco così: «Sto ancora imparando». Cicerone sosteneva che la vecchiaia conferiva stabilità alla ragione con il calmarsi delle passioni. Quasi tutti i frutti diventano più dolci quando si avvicina la stagione della raccolta. La vecchiaia nutre più pietà della giovinezza. Furono i giovani a consigliare la crudeltà al re Davide; le persone anziane gli raccomandarono la misericordia. Chi ha fede e vive nella virtù, dimora nella radiosa attesa della gloria che deve giungere.

E si potrebbe continuare così, enumerando i vantaggi dell’anzianità come Cicerone fece nel suo De Senectute. Ma occupiamoci ora non tanto del problema dell’età, quanto piuttosto di quello della rarità con cui persone alle soglie della vecchiaia passino da una vita materiale alla vita divina. Un famoso predicatore protestante disse un giorno: «Sono vissuto per vent’anni nel mistero del Vangelo, e non credo di poter enumerare tre persone al di sopra dei cinquant’anni che io abbia sentito porsi il fondamentale problema: “Cosa farò per salvarmi?”». Il profeta ebraico si lamentava del suo popolo: «Capelli bianchi gli appaiono qua e là sul capo, ed egli non se ne accorge» (Os 7,9). Questa perdita inconsapevole della vita è penosa, nel momento in cui il tribunale della giustizia si avvicina e si oppone il rifiuto di regolare i propri conti. Le tempeste sono visibili nella loro forza distruttrice; così pure il violento erompere della passione nei giovani, ma c’è a volte l’arido marciume che tutto corrompe dall’interno: è questo, spesso, l’inconscio deterioramento di coloro che son vissuti nel dubbio, nello scetticismo e nell’assenza di fede, fino al crollo finale di tutto l’edificio. Le persiane della vita vennero chiuse sulla città celeste durante la giovinezza, ed ora non si ha più la forza di aprirle. Il vero pericolo della vecchiaia è di inchiodare assi sulle finestre orientate verso la Luce e poi sostenere che la luce non esiste. Si invoca l’autorità dei capelli grigi sulla mondanità e l’empietà, mentre una paralisi subdola lascia l’anima impietrita fino al punto che «Neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» (Lc 16,31).

Ci sono nell’uomo tre grandi passioni che lo spingono a commettere eccessi nel suo desiderio di quelle cose che gli sembrano buone: la lussuria, che il mondo moderno chiama sesso; la superbia o egoismo; e l’avarizia o cupidigia, chiamata talvolta sicurezza. Sebbene non siano prerogativa di una sola generazione in particolare, ciascuna di esse tende a prevalere nei diversi periodi della vita. La carne predomina nella giovinezza, l’egoismo e la lotta per il potere sono atti a determinare il periodo della maturità dell’uomo. L’avarizia o cupidigia, è in genere il peccato dell’età senile. L’ammassar denaro diventa una sorta di immortalità; rendendosi sicuri in questa vita, si crede inconsciamente di procurarsi una sicurezza per l’eternità. Il giovane tende a spendere, il vecchio è più incline a diventare un accaparratore. Una vita simile diventa allora tanto materialistica, che mai vi penetra il pensiero di ciò che è immorale o sbagliato. Piuttosto, affiora la tendenza a confondere l’avere con l’essere: poiché si possiedono cose di valore, si è uomini di valore. L’indifferenza finisce per impossessarsi così tanto dell’anima che non esiste più né Dio né Diavolo. Disse Francis Thompson:

«Così batte al vento impotente la mia vela / Che non rigonfia brezza / Né di Cielo / Né di Inferno».

Il modo migliore di godere la vecchiaia è di saperla vedere come il tempo per riparare i peccati del passato, vivendo nella speranza delle gioie che ci attendono. Ma questo… richiede Fede!

(Fulton J. Sheen, da “La strada per la felicità: psicologia e vita cristiana” edizioni Mimep)

DIO, L’ UOMO E L’EVOLUZIONE: “L’immaginario conflitto fra scienza e fede…Darwin e una sana prospettiva sull’evoluzione”

È piuttosto illogico che un moralista si occupi di una «crisi della morale», quando parte dal presupposto che l’uomo è una scimmia diventata nobile. La vera crisi non è della morale, bensì della logica: quella logica che vorrebbe far derivare da un essere amorale, l’uomo morale e dalla scimmia, il suonatore di organetto.

(Fulton J. Sheen, da “Verità e Menzogne: una critica profetica del pensiero moderno” edizioni Mimep)

DAL LIBRO “VERITÀ E MENZOGNE” Pubblicato per la prima volta nel 1931 e ristampato recentemente dalle edizioni Mimep.

CAPITOLO 18: DIO E L’EVOLUZIONE.

L’evoluzione è la costante, la sua particolare teoria e il suo campo di applicazione formano la variante, esattamente come l’abito è la costante, ed il costume da bagno ne è una variante. Ne deriva che confondere il Darwinismo con l’evoluzione è come confondere le brache con i pantaloni. Si può essere evoluzionisti senza essere Darwiniani, come si può essere civili senza indossare maniche di pizzo. Non si deve dimenticare che esistono circa 57 varietà di teorie evoluzionistiche, la maggior parte delle quali sono ipotesi di lavoro più o meno accettabili nell’ordine empirico. L’evoluzione è un problema molto più vasto di quello contenuto nella questione se sia venuta prima la scimmia, od il suonatore di organetto. Una sana prospettiva sull’evoluzione può essere riassunta in alcune proposizioni come le seguenti:

L’evoluzione non esclude l’esistenza di Dio

1. L’evoluzione non esclude Dio. Essa vuol dire aumento, o progresso, e quindi non è in contrasto con alcuna teologia o filosofia, né implica alcuna tesi fondamentale. L’evoluzione è la risposta alla domanda sul come avvengono le cose; Dio è la risposta alla domanda sul perché avvengono le cose. Posso dire, per esempio, che il mio orologio è stato costruito a macchina, oppure a mano. La prima spiegazione sottintende che l’orologio sia stato fabbricato con un’operazione unica e in tempo breve; la seconda vuol dire che venne fabbricato gradualmente, durante un lungo periodo di tempo. In entrambi i casi, si spiegherebbe com’è stato fabbricato l’orologio. Una volta risposto a tale domanda, resterebbe da rispondere a quella più fondamentale: «Chi ha fabbricato l’orologio?». Lo stesso vale per l’universo. L’evoluzione afferma che la pianta e l’animale si sono evoluti gradualmente l’uno dall’altro. Ma questo lascia ancora senza risposta la domanda che chiede: «Chi ha creato le cose capaci di evolversi?». In altre parole, l’evoluzione non esclude Dio, come il fatto che un uomo il quale «s’è fatto tutto da sé» non esclude l’esistenza di sua madre.

La lunghezza del tempo non elimina il Creatore

2. La lunghezza del tempo impiegato dall’universo per evolversi non esclude la necessità di un Creatore. Alcune menti hanno l’impressione che, se ci soffermiamo a pensare ai milioni e milioni di anni che l’universo ha impiegato per svilupparsi, possiamo fare a meno della necessità di scoprire una causa. Ma Dio può aver fatto le cose sia rapidamente che lentamente, per la semplice ragione che si trova fuori dal tempo. Dire che la lunghezza del tempo esclude il problema della causa, è come dire che se il manico di un pennello fosse straordinariamente lungo, il pennello dipingerebbe da solo, oppure che se i pantaloni fossero lunghissimi non avrebbero avuto bisogno di un sarto per essere accorciati. La tartaruga esige un progenitore, così come la lepre che vinse la gara. Il problema non sta quindi nel vedere se le cose procedono in fretta o lentamente, ma piuttosto perché procedono.

La piccolezza della materia originaria non elimina la Causa Prima

3. La piccolezza della «sostanza» originaria, o gas, o materia, da cui, per evoluzione, sarebbe derivato il mondo, non elimina la necessità di una Causa Prima. Come vi sono quelli che credono che un lunghissimo periodo di tempo renda Dio superfluo, così vi sono quelli che credono che una particella minima, dalla quale si sarebbe lentamente sviluppato l’universo, renda altrettanto inutile l’esistenza di Dio. L’esistenza di Dio non si fonda però sulla grandezza dell’universo, bensì sul fatto che esso non spiega il motivo della propria esistenza. Anche se la particella che avrebbe dato origine all’universo non fosse stata più grande della punta di uno spillo, Dio sarebbe necessario per tre motivi: 1) Per la natura statica della particella. 2) Per il moto che le venne infuso come forza dinamica che le permise di sviluppare le sue energie latenti. 3) Per il piano secondo il quale l’evoluzione sarebbe avvenuta, perché in assenza di uno scopo nell’evoluzione stessa, non vi sarebbe stata alcuna ragione per la quale la particella primordiale avesse dovuto incominciare ad evolversi. Si afferma spesso che, mentre la particella originale non può spiegare la propria esistenza, la somma dei suoi vari prodotti messi insieme la spiegherebbe, senza fare appello a Dio. Ma questo non è che un vano stratagemma, perché si tratterebbe solo di riunire insieme cose insufficienti, e come mille idioti non fanno un uomo saggio, così nemmeno mille mondi capaci di trasmettere energia potrebbero essere la fonte originaria dell’energia stessa. È vero che il canale verrebbe prolungato, ma l’allungamento del canale non crea la fonte. Si è quindi ricondotti verso una Causa Prima. Ma ci si potrebbe chiedere: «Chi ha creato la Causa Prima?». Con una domanda di tal genere si dimostra di non comprendere il significato letterale dell’espressione. Causa Prima significa «prima», non nell’ordine del tempo, bensì nell’ordine della ragione; vuol dire autosufficienza, contenente in sé l’autonomia; supporre che la Causa Prima sia stata a sua volta creata, è come dire che una Causa è Prima e, contemporaneamente e dal medesimo punto di vista, anche secondaria, il che esprime una contraddizione.

La supposta eternità dell’universo non elimina la Causa Prima

4. Nemmeno la questione teorica dell’eternità dell’universo abolisce la necessità di una Causa Prima. Non è attraverso la ragione, bensì per mezzo della rivelazione che sappiamo che il mondo ebbe la sua origine nel tempo. Ci insegna San Tommaso d’Aquino che la ragione da sola non potrebbe mai dimostrare che il mondo abbia avuto un principio. Ma esistono, oltre alla ragione, altre fonti della conoscenza, e la fonte costituita dalla fede ci assicura che l’universo ha avuto un inizio nel tempo. Ne deriva che la questione dell’eternità dell’universo è puramente «teorica». Non si deve confondere il problema temporale, o del principio delle cose, con il problema ontologico, vale a dire con quello della ragione delle cose. Anche se il mondo fosse eterno, rimarrebbe tuttavia eternamente dipendente da Dio. Posso immaginare una spiaggia eterna, su cui è impressa un’orma eterna. Ma l’orma dev’essere stata impressa lì da tutta l’eternità. L’eternità nel tempo è una questione ben diversa rispetto all’eterna dipendenza.

Il confitto fra scienza e fede non è reale nemmeno riguardo all’evoluzione

5. L’immaginario conflitto fra scienza e fede nei confronti dell’evoluzione è dovuto al falso concetto di ciò che costituisce la regola della fede. Quasi tutte le discussioni sul presunto conflitto fra scienza e religione ammettono che la posizione protestante sia la vera. Secondo la teoria protestante, la Bibbia è la regola della fede, e quindi essa è fondamentale per decidere sulle questioni religiose. Secondo la dottrina cattolica, la Bibbia non è fondamentale, perché il primo principio dell’uomo non può essere la Bibbia, bensì ciò che intorno alla Bibbia egli crede, vale a dire che essa viene da Dio. La Bibbia non è un libro, ma una raccolta di libri, e quindi più che altro un’antologia. Da essa non si può partire, come non si può partire da un’enciclopedia. E quindi il problema fondamentale non è ciò che il Libro dice, ma chi raccolse tutti quei libri; chi decise che il Libro incominciasse dove ha inizio, e terminasse dove finisce; chi decise che certi libri compilati probabilmente da contemporanei del Cristo, non dovevano essere inclusi, e che altri scritti più tardi dovevano essere inclusi. Quando si risponde a queste domande, si è andati oltre al Libro per raggiungere un’organizzazione, o una Chiesa, la quale, nella sua qualità di continuatrice della Vita del Cristo sulla terra, decretò che la Bibbia era ispirata, e che a partire da quel giorno ha esposto il significato di ogni brano, come, in altro campo, la Suprema Corte degli Stati Uniti decide il significato dei passi più difficili esistenti nella Costituzione Americana. E perciò, quando certi agnostici e scettici, decisi a screditare la religione, sostengono che vi è contraddizione tra i «sette giorni» della Genesi, ed i fatti resi noti dalla scienza riguardanti l’enorme anzianità della terra, essi attaccano in effetti il concetto protestante della Bibbia quale valore «fondamentale», ma non la teoria cattolica, la quale afferma che qualcosa precedette la Bibbia. L’interpretazione individuale dei Fondamentalisti ha messo in evidenza la necessità di aderire ai sette giorni della Genesi, come sette giorni di ventiquattro ore ciascuno. Non così dice la Chiesa Cattolica che è la Corte Suprema nel campo dell’interpretazione. Nel 1909 la Commissione Biblica affermò che nella denominazione e distinzione dei sei giorni citati nel primo capitolo della Genesi, la parola «yom» (giorno), può significare sia un giorno naturale di ventiquattro ore nel senso letterale, sia qualsiasi periodo indeterminato di tempo nel senso allegorico. La posizione della Chiesa su tale argomento è stata sintetizzata da uno dei suoi grandi maestri, il Knabenbauer, con queste parole: «Prese in rapporto all’intera narrazione della creazione, le parole della Genesi non affermano se non che la terra, con tutto ciò che contiene e produce, insieme al regno vegetale ed a quello animale, non si è creata da sé, né è frutto del caso, ma deve la sua esistenza alla potenza di Dio. Quale sia il particolare modo con cui il regno vegetale e quello animale ricevettero l’esistenza: se tutte le specie vennero create simultaneamente, o ne vennero create solo poche, destinate a dar vita alle altre; se venne posto entro la madre terra un unico seme fruttifero, che sotto l’influenza di cause naturali, si trasformò nelle prime piante, ed un altro, infuso nelle acque diede vita ai primi animali – tutto questo il Libro della Genesi lo lascia alle nostre indagini e alle rivelazioni della scienza, se davvero la scienza sarà mai in grado di dare una risposta definitiva ed inequivocabile. In altre parole, l’articolo di fede contenuto nella Genesi rimane fermo ed intatto, anche se si spiega la maniera con cui ebbero origine le differenti specie secondo il principio della teoria dell’evoluzione». È dunque tempo che coloro i quali parlano di presunti conflitti fra religione e scienza, facciano una distinzione tra i diversi tipi di religione, come la fanno tra i diversi tipi di scienza. La regola di fede del Protestantesimo non è la stessa del Cattolicesimo. La Chiesa Cattolica non fa della Bibbia un’opera scientifica, né si occupa, in quanto Chiesa, delle cause secondarie; essa lascia tutto ciò al dominio della scienza, il cui compito è di raccogliere fatti e formulare ipotesi e leggi, che altri fatti verificheranno e controlleranno. La Chiesa non ha mai dato un’interpretazione ufficiale del libro della Genesi per quanto riguarda gli anni di vita dell’universo, od il periodo di tempo che ha impiegato per svilupparsi; non ha detto nulla intorno all’origine della vita sulla terra, e neppure intorno alla possibilità che la vita derivi dalla materia. Nonostante questo, alcuni sostengono ancora che se la scienza potesse provare che la vita deriva dalla materia, l’intera struttura del Cristianesimo crollerebbe. Forse, per coloro che si mantengono su tali false posizioni, potrebbe essere interessante sapere che molti fra gli Scolastici credevano alla generazione spontanea, e se tale teoria venisse mai dimostrata, ci ritroveremmo ancora una volta nell’epoca della saggezza Scolastica.

Il corpo umano può essere derivato per evoluzione da un organismo inferiore?

6. La Chiesa non si è mai pronunciata intorno alla possibile origine del corpo dell’uomo da un organismo inferiore. Anche qui si deve fare la stessa distinzione tra la cosiddetta posizione «Fondamentalista», e quella cattolica, la quale, è chiaro, va ben oltre. In primo luogo, la Chiesa non si è pronunciata intorno all’immediata origine del corpo umano, espressa nelle parole della Sacra Scrittura: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo» (Gen 2,7). In secondo luogo, se domani si potesse provare che il corpo dell’uomo deriva dall’evoluzione di un animale inferiore, ciò non andrebbe a contraddire alcun insegnamento ufficiale della Chiesa (* nota alla fine dell’articolo) . In terzo luogo, l’atteggiamento della Chiesa verso l’evoluzione del corpo umano potrebbe essere definito come prudentemente scientifico: oggi, l’idea che il corpo dell’uomo sia derivato dall’evoluzione di un animale inferiore, è un’ipotesi non provata, e quindi la Chiesa ritiene che sarebbe imprudente e poco saggio respingere la vecchia teoria tradizionale, secondo la quale il corpo dell’uomo è stato creato immediatamente da Dio, in favore della teoria nuova ed incerta, anche se quest’ultima non si può definire contraria alle sue decisioni. È certo che un tale punto di vista sano, calmo ed equilibrato, si dovrebbe raccomandare anche a coloro che non hanno fede, ed essi dovrebbero ammettere che è valido per due ragioni: a causa della natura dei fatti stessi, e per il loro peso e quantità. Nel trattare argomenti quali la possibile origine animale dell’uomo, si deve procedere per via di evidenze, e non per via di esperimenti. E l’evidenza è sempre più convincente dell’esperimento. Non vi è modo di sperimentare un osso fossile per vedere se riuscirà a diventare un corpo umano, invece è possibile sperimentare dei conduttori elettrici per vedere se faranno scintille. Si possono correggere gli errori nel campo degli esperimenti, ma non le deduzioni tratte dall’evidenza. In questo campo esiste un grande pericolo di perdersi lungo la via, il pericolo che delle idee false vadano alla testa come il vino bevuto a stomaco vuoto, e quindi è necessaria un’estrema cautela. Per di più, l’atteggiamento prudente della Chiesa è dettato dalla quantità stessa dei fatti. Si sta diffondendo l’impressione che i fatti comprovanti l’origine animale del corpo dell’uomo siano decisivi. Quest’impressione, tuttavia, è ben lontana dalla verità. Un’autorità senza pregiudizi, il signor Gerrit S. Miller Jr. della Smithsonian Institution di Washington, riporta queste due notevoli affermazioni: «Come risultato di settant’anni di fatiche, questi instancabili lavoratori hanno compiuto esattamente due “scoperte” – niente di più». Quindi, la sua opinione è che: «non dovremmo esitare a confessare che invece di possedere dei legami dimostrabili tra l’uomo e altri fossili, non abbiamo altro che dei fossili talmente frammentari da essere suscettibili di essere interpretati sia come tali, che diversamente». Per concludere, l’ipotesi che il corpo dell’uomo sia nato per evoluzione da un organismo inferiore, non è contraria all’insegnamento della Chiesa, ma rimane una semplice ipotesi. E siccome l’anello mancante fra l’uomo e l’animale non è stato ritrovato, la Chiesa preferisce continuare a chiamarlo con la scienza «l’anello mancante».

L’anima umana non può essere frutto di un processo di evoluzione

7. Sebbene non sia intrinsecamente impossibile che il corpo dell’uomo abbia avuto inizio per via di evoluzione da un organismo inferiore, è assolutamente impossibile che l’anima umana sia stata oggetto di un processo del genere. Si deve tenere presente che la credenza nell’anima non si fonda soltanto sulla fede, ma anche sulla ragione. Io credo nell’esistenza dell’anima, non solo perché la fede mi dice che l’anima esiste, ma perché i miei due lobi cerebrali, funzionando correttamente, mi dicono che essa non può non esistere. La fede viene in aiuto della ragione, e su questo punto ne conferma le conclusioni, rendendo così inviolabile ed infallibile il motivo che ho di credere nell’anima. In un precedente capitolo si è provata l’esistenza dell’anima attraverso la realtà della risata; qui si presenterà un altro argomento, tratto principalmente dall’esistenza dell’arte, per dimostrare che l’anima dell’uomo non può essere nata per evoluzione da quella della bestia. L’arte è l’espressione dell’ideale attraverso il reale. Il fare continuamente le stesse cose sotto la spinta della necessità, come fanno i castori costruendo le loro dighe e gli uccelli con i nidi non è arte, ma istinto. Per produrre arte, l’uomo deve avere degli ideali che esprime mediante la materia. Deve, per esempio, avere ideali come quelli di «giustizia», o di «verità», di «coraggio», o di «onestà». Ma nessuno è mai andato a fare una gita in automobile con la signora «Giustizia»; nessuno è stato mai invitato a pranzo dalla signora «Verità»; nessuno conosce la latitudine, né la longitudine di un luogo che ha nome «Coraggio». Questi ideali sono spirituali. Da dove derivano? Non si può estrarre il sangue da una rapa, né ottenere l’uva dai pruni, né i fichi dai cardi, e neppure si possono ricavare dalla materia i pensieri, che non sono materiali. Questi pensieri ideali, essendo spirituali, devono essere stati prodotti da un principio capace di produrre le cose spirituali, e che chiamiamo «anima». Quindi l’arte, che è l’espressione dell’ideale attraverso il reale, non è il risultato di un’evoluzione, ma è un nuovo elemento emergente nell’universo – qualcosa che nasce con l’apparire dell’anima nell’uomo.

I primi uccelli che acchiapparono i primi vermi, non modellarono i loro nidi in forma di templi greci, né quelli che seguirono diedero ai nidi le linee dell’architettura normanna, né avviene che oggi gli uccelli raccolgano i ramoscelli biforcuti per esprimere la penetrante pietà del Gotico. I canarini non hanno mai idealizzato i grandi cantori erigendo statue alle loro grandi stelle della lirica, né i gabbiani hanno mai idealizzato i loro eroi dei lunghi voli senza scalo edificando dei monumenti in onore dei loro Lindbergh101. Il bruco non fu mai Impressionista, né la farfalla Post-impressionista. La zebra non s’è dimostrata Cubista, né il leopardo Futurista. Il fatto grandioso ed inequivocabile è che non si trova mai l’arte nel suo vero significato se non quando si arriva all’uomo. Le più antiche testimonianze umane, cioè dell’uomo delle caverne, ci dimostrano che egli non era un animale, e provano anche che era un artista perché le testimonianze rupestri sono scritte e dipinte sulle pareti delle caverne. Come disse G. K. Chesterton: «Non è necessario andare molto giù con gli scavi per scoprire un uomo che disegna la figura di una scimmia, ma non siamo mai arrivati, né mai arriveremo abbastanza in fondo nelle viscere della terra per trovare il disegno di un uomo tracciato da una scimmia. Vi può essere una lunga trafila perduta di ossa spezzate che interessano l’origine del corpo dell’uomo, ma non esiste nulla che accenni, sia pure vagamente, ad uno sviluppo dell’intelletto». In altre parole, l’arte è la firma posta dall’uomo. L’uomo non è soltanto creatura, ma anche creatore, in virtù del potere spirituale che sta in lui e che gli permette di produrre forme ideali, le quali si possono tradurre nella materia – e questo potere spirituale è l’anima. Per concludere, l’uomo non è un’evoluzione, ma una rivoluzione. Può darsi ipoteticamente che sia un animale per quanto riguarda il corpo, ma possiede anche un’anima che deriva direttamente da Dio. Può darsi che sia l’unico animale non «domestico» rispetto al mondo: tutti gli altri animali dimostrano di appartenere a questa terra, e di esserne pienamente soddisfatti. Può darsi che sia l’unico animale «selvaggio», nel senso che nei desideri e nelle aspirazioni non è mai completamente soddisfatto, perché a causa dell’anima egli aspira incessantemente alla vita infinita, all’infinito amore e all’infinita verità del Dio che l’ha creato.

«L’anello mancante» che ci lega a Dio

8. Né la fede più solida né la retta ragione scoraggiano la ricerca dell’anello mancante. Credo anzi che dovremmo ricercare non l’anello che ci lega alla bestia, ma l’anello che ci lega a Dio. Non vedo che il nostro albero genealogico possa avere un aspetto migliore per il fatto che vi si trovi un animale appeso tra i rami. Perché gloriarci dell’ipotetico anello che ci lega alla bestia? Cerchiamo piuttosto il legame che ci stringe a Dio. E dove lo si troverà? In una grotta senza dubbio, ma non in quella di Giava, bensì nella grotta di Betlemme. Ed il nome di colui che vi si trova non è «Cro-Magnon» ma «Cristo», e gli animali della grotta non sono se non il bue e l’asino, chini sulla mangiatoia, che è la culla del Signore. La luce che splende negli occhi di Lui, non è la luce della bestia pervenuta all’alba della ragione, ma la luce di un Dio disceso ad illuminare le tenebre dell’uomo. I compagni del Bambino non sono uomini-scimmie, ma Pastori e Re Magi, e la Donna che sta nella grotta non è un mostro, ma una Vergine Regina. Due soltanto sono le teorie possibili intorno alla natura ed alla dignità dell’uomo: l’una dice che la vita è una spinta dal basso, l’altra dice che è un dono dall’alto. Rispetto alla prima, l’uomo dovrebbe agire da bestia perché deriva dalla bestia; rispetto alla seconda, egli dovrebbe comportarsi come Dio, perché fatto a Sua immagine e somiglianza. La fonte della nostra dignità non si scopre cercando un uomo tra i rami dell’albero, ma piuttosto guardando all’Uomo appeso all’Albero. L’uomo tra i rami dell’albero è la bestia che si dondola, appesa per la coda, nella gioia egoistica della sua bestialità. L’Uomo appeso all’Albero è il Cristo Gesù nell’estasi beatifica della Sua redenzione. L’uomo tra i rami dell’albero è l’uomo-bestia. L’Uomo appeso all’Albero è l’Uomo-Dio. L’uomo tra i rami dell’albero si aspetta una progenie di figli di animali, l’Uomo appeso all’Albero si aspetta una progenie di figli di Dio. L’uomo tra i rami dell’albero guarda in basso verso la terra, dalla quale si è levato. L’Uomo appeso all’Albero guarda in alto verso i cieli, dai quali è disceso. Per l’uomo tra i rami dell’albero, tutti gli altri alberi della foresta portano solo il peso delle foglie. Per l’Uomo appeso all’Albero, tutti gli altri alberi della foresta portano il peso dei ladri penitenti. Quando l’uomo tra i rami dell’albero muore, nemmeno le foglie gli cantano un requiem. Quando muore l’Uomo appeso all’Albero, persino la terra si lacera e restituisce i suoi morti, perché ciò che ora conta è l’Albero, come contava in principio, quando l’uomo barattò un giardino per un frutto:

«Nel legno della croce Tu hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché da dove sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dall’albero dell’Eden traeva la vittoria, dall’albero della croce venisse sconfitto, per Cristo Nostro Signore.»

* Nota: Papa Pio XII nella sua enciclica “Humani generis” del 1950 si esprimeva così: “Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell’attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della fede. Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela”.

IL FALSO PRINCIPIO DELLA CONTRACCEZIONE: LA CATTIVA LOGICA DEI SOSTENITORI DEL CONTROLLO DELLE NASCITE

IL FALSO PRINCIPIO DELLA CONTRACCEZIONE

Una logica rigorosa non è sempre desiderabile. Anzi, diventa la più pericolosa di tutte le cose se parte da una premessa falsa. È inevitabile in tal caso che più si ragiona logicamente e più ci si allontana dalla verità. Se la premessa è falsa, l’unica speranza di giungere ad una sana conclusione, o ad un retto pensiero, sta nella possibilità di compiere, in un punto qualsiasi del processo ragionativo, una tremenda svista. Qualche volta quando ci si è smarriti nel cammino, le strade tortuose ci possono riportare sulla retta via, ma se la strada sbagliata è diritta, siamo irrimediabilmente perduti.

A questo proposito, vale la pena di notare che i propagandisti del controllo delle nascite o della contraccezione sono le persone più logiche del mondo. Il loro principio fondamentale è quello dei Sadducei: non esiste la vita eterna. L’uomo non ha in sé alcun principio spirituale, non ha uno scopo sulla terra, né una vittoria immortale da conquistare. La sua tenda è stata piantata quaggiù dalle cosmiche inondazioni dello spazio-tempo, ed un giorno egli si dissolverà nel «campo» einsteiniano della gravitazione e dell’elettricità. Ammesso quindi un principio del genere, che è falso, applicatevi una logica rigorosa e giungerete al controllo delle nascite. Se non vi è uno scopo nell’essere uomo, non vi è ragione di generare altri uomini; se non vi è un fine nella vita umana, non vi è motivo di prolungarla; se l’umanità non ha un obiettivo, non vi è un senso nel generare la vita.

Questo è un ragionamento che fila perfettamente. È come dire che se la carrozza a cavalli è inutile, allora non serve a niente fabbricarne altre. Ma sfortunatamente per tale logica, il principio radicale del controllo delle nascite è malsano ed infondato. È la glorificazione dei mezzi, ed il disprezzo del fine; afferma che il piacere, il quale è un mezzo per la procreazione dei figli, è buono, ma non sono buoni i figli stessi. La via che conduce a Roma è buona, ma Roma non lo è; il meccanismo della generazione è buono, ma non è buono il prodotto. In altre parole, ad essere logici, la filosofia del controllo delle nascite vorrebbe relegarci in un mondo dove gli alberi fioriscono sempre, senza mai dare frutti; in un mondo di artisti preoccupati di scegliere il pennello adatto, ma incapaci di portare a termine un quadro; in un mondo pieno di cartelli indicatori che fanno andare verso il nulla. In questo cosmo, ogni albero sarebbe un fico sterile, e per tale ragione attirerebbe su di sé la maledizione di Dio.

Anche se si volesse ammettere che i bambini sono inutili, i sostenitori del controllo delle nascite, loro stessi, dovrebbero pur ammettere che in seguito sarebbero stati utili, se non altro per predicare il controllo delle nascite. Pensate solo che rovina sarebbe accaduta nel campo dei propagandisti del controllo, se le madri di coloro che lo predicano l’avessero già praticato personalmente! Più il controllo delle nascite si pratica e meno probabilità rimangono che diventi una filosofia permanente, perché giungerà un momento in cui i suoi propagandisti si estingueranno, ed i padri e le madri che generano avranno tutto il mondo per loro.

Se questa filosofia vorrà diventare universale, dovrà fare continue eccezioni e affermare che in certi casi non la si deve prendere troppo sul serio. Si addurranno continue scuse, e la principale sarà probabilmente quella economica: il numero dei figli dipenderà dal bilancio e dal valore della moneta. «I bambini non devono affollare le case dei poveri». Vi è l’opinione che l’aver figli non porti ricchezza, ma l’affermazione è falsa. La povertà non è una scusa sufficiente per escluderli, così come non lo è per un padre che taglia la testa al decimo figlio perché ha denaro sufficiente soltanto per nove cappelli. Mi è sempre sembrato strano che si debba perdonare ad una moglie, sulla base di una «temporanea infermità mentale», per aver messo un limite alla sua vita coniugale sparando al marito, e nel medesimo tempo si dia somma lode alla stessa moglie e la si definisca una «donna libera e progressista» per aver messo un limite al numero dei suoi figli soffocando la vita sul nascere. Tutto ciò dimostra che non abbiamo bisogno di nuove leggi, ma di ampliare le norme di quelle già esistenti, e specialmente della legge sull’omicidio. (…)

È ormai tempo che la parte pensante dell’America protesti contro le riforme che si fondano sulle percentuali, invece che sui principi, perché questo ci ha trascinati in un tremendo caos, dove non si capisce più quel che è bene e quel che è male. Il Proibizionismo ha oscurato la visione morale definendo peccato ciò che in realtà non lo è, ha fatto concentrare l’attenzione su questo «peccato inventato» conducendo il mondo a non preoccuparsi di evitare tutto ciò che è veramente peccaminoso. Nel mezzo di tale confusione, si fa avanti il controllo delle nascite dicendo che quello che è realmente un peccato, non lo è affatto, ma si tratta di libertà e progresso. La coscienza pubblica assorbe questa falsa morale e condanna una donna all’ergastolo per aver bevuto quattro bicchierini, ma lascia in libertà migliaia di donne che hanno ucciso quattro vite dentro di loro. Venticinque milioni di dollari non si ritengono troppi per far rispettare le leggi del Proibizionismo, ma venticinque dollari sarebbero giudicati troppi per lo scopo di far rispettare la Legge di Dio. Si tratta davvero di guide cieche che «filtrano i moscerini e ingoiano i cammelli» (Mt 23,24). Oggi il dominio della moralità si estende solo ai peccati «pubblici», come il bere; il dominio amorale a quello dei peccati «segreti», come il controllo delle nascite. Si dice che la Chiesa Cattolica si mostri indifferente verso la grandezza della democrazia americana perché non vuole fare del Proibizionismo il centro della moralità, tuttavia nessuno pensa mai che opponendosi al controllo delle nascite, sia soltanto lei a dare alla democrazia la possibilità di sopravvivere. Sono i propagandisti di questa subdola filosofia ad essere antidemocratici: coloro che limitano la vita e la felicità all’aristocrazia del «figlio unico». (…)

L’immoralità del controllo delle nascite non è quindi argomento di autorità, ma di buon senso. Si dice troppo spesso che la contraccezione è un errore, perché tale lo proclama la Chiesa Cattolica. No, la contraccezione è un errore perché la ragione ci dice questo: è il cattivo uso e l’abuso di certe facoltà che Dio ha dato agli uomini. Ma per il fatto che oggi solo la Chiesa difende la ragione, ciò che la ragione condanna viene identificato con ciò che condanna la Chiesa, e dimenticando il sano razionalismo che la ispira, gli uomini blaterano intorno alla sua autorità autocratica. Il controllo delle nascite non è nuovo, né nell’entusiasmo né nella metodologia. Il suo maggiore esponente è stato forse un re, il quale ne era così entusiasta da proclamarlo con decreti e con le armi, ed era tanto scientifico nel metodo che i bambini ammessi erano tutte femmine. Quel re metodico e scientifico era Erode. La sola differenza tra la metodologia di quel primo fautore del controllo delle nascite e quella d’oggi è che il dispositivo contraccettivo di Erode era la spada. Ed il Bambino che sfuggì alla sua condanna, fattosi adulto, chiamò «Volpe» il figlio di quel re, per ricordarci che coloro i quali praticano il controllo delle nascite perdono la loro umanità, non solo per sé, ma anche per i discendenti. (…)

I segreti più importanti sono sempre i più duri da mantenere. Dio trovò difficile mantenere il segreto della Sua natura personale: lo svelò all’uomo, ed ecco la Rivelazione. In senso più realistico, due sposi traboccanti di felicità non possono conservare egoisticamente per sé il segreto della loro gioia, e la manifestazione di questo segreto sarà il principio della nuova famiglia. Si può dire che Dio abbia introdotto nella creazione la legge della monotonia decrescente, il cui funzionamento prevede che il primo figlio interrompe la monotonia del dualismo coniugale, il secondo figlio interrompe la monotonia del primo, il sesto la monotonia del quinto, ed i nipotini alleviano la monotonia dei figli. Ma le coppie di sposi egoisti, che non conoscono le gioie della più nobile auto-espressione, sono piene di tristezza e d’inquietudine – forse perché hanno degli scheletri segreti nascosti nel profondo del loro cuore.

(Fulton J. Sheen, da “Verità e Menzogne: una critica profetica del pensiero moderno” edizioni Mimep)

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Verità e menzogne

L’INDIFFERENZA E LA FALSA APERTURA MENTALE DELL’UOMO MODERNO: “Il Signore può trasformare chi è ovviamente cattivo, ma è piuttosto difficile operare nell’animo di coloro che si credono ovviamente buoni”

Qui di seguito potete trovare un capitolo del nuovo libro di Fulton Sheen appena pubblicato: “La strada per la felicità: psicologia e vita cristiana” edizioni Mimep.

-INDIFFERENZA-

Tutti gli insegnanti sanno che è più facile conquistare l’intelligenza di chi nutre un interesse, seppur sbagliato, rispetto a quella di chi non ne nutre alcuno. Il più grande degli apostoli, San Paolo, giunse al Signore attraverso le fiamme dell’odio e la ragione del suo odio rimase quella del suo amore: il chiaro riconoscimento di tutto ciò che la Persona di Cristo rappresentava in relazione all’umanità. La passione sensuale della Maddalena, improvvisamente, deviò verso la direzione opposta, trasformandosi in dedizione suprema d’amore.

Ciò che, invece, rende estremamente difficile alle benedizioni del Cielo di operare è l’indifferenza e il diffuso atteggiamento di falsa apertura mentale nelle persone mature. Il Signore può trasformare chi è ovviamente cattivo, ma è piuttosto difficile operare nell’animo di coloro che si credono ovviamente buoni. Costoro sono sopravvissuti ai loro caldi giorni avventurosi, ma non sono ancora riusciti a cogliere la vanità delle ricompense terrene. Si sentono a proprio agio e non desiderano cambiamento alcuno; siccome posseggono le ricchezze, pensano di essere degni di rispetto. (…)

Dante, nel descrivere l’inferno, disse che al suo primo entrarvi si imbatté in spiriti che non furono né ribelli né fedeli e condussero un’esistenza dedicata solo a se stessi; era «la setta dei cattivi, a Dio spiacenti ed ai nemici sui». Quando queste anime indifferenti rubano, non restituiscono, quando subiscono collassi morali che disgustano il senso morale, non si pentono, anzi, ritornano furtive alla loro antica rispettabilità; questi soggetti si giudicano in base ai canoni comunemente accettati dal gruppo di cui fanno parte; la ricercatezza mondana è da essi ritenuta fiore ed aroma della virtù, alle convenzioni sociali attribuiscono l’efficacia dei comandamenti divini; possono definirsi degli stupidi, ma mai dei peccatori.

Si trova qui la ragione psicologica della negazione dell’immortalità. Sapendo che una tale indifferenza non può sfuggire al giudizio in cui ogni azione viene pesata sulla bilancia, essi ricorrono alla sua negazione. Scrisse Shakespeare: «Nelle corrotte correnti di questo mondo, la dorata mano del delitto può spinger da parte la giustizia, e spesso si vede che lo stesso malvagio compenso compra la legge, ma non è così lassù; là non ci son sotterfugi, lassù l’atto si mostra nella sua vera natura».

Leggendo la Scrittura non si può non osservare la devastante critica alle correnti norme morali e sociali di vita, come nell’episodio in cui il Signore giudicò la prostituta superiore al fariseo, il ladro pentito più degno del capo religioso, il figliol prodigo migliore dell’esemplare fratello maggiore. Più di un albero che nella foresta si staglia bello, elegante, solido e robusto, quando è abbattuto e segato per l’uso mostra marciume, venature irregolari e nodi. Il conformismo sociale nei confronti di mediocri norme di vita può dare un’apparenza di bontà, ma il giudizio di Dio sa leggere il vero carattere.

(Fulton J. Sheen, da “La strada per la felicità: psicologia e vita cristiana” edizioni Mimep)

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COME DIVENTARE NEVROTICI

Qui di seguito potete trovare un capitolo del nuovo libro di Fulton Sheen appena pubblicato: “La strada per la felicità. Psicologia e vita cristiana” edizioni Mimep. Il libro si può acquistare sul sito della casa editrice gestita dalle suore loretane. Il link per l’acquisto:

COME DIVENTARE NEVROTICI

  1. Nega che esiste il peccato e il senso di colpa. Comincia affermando che sei responsabile solo del bene che fai, ma non del male. Insisti nella lode, nel riconoscimento ed onore di quello che consideri un lavoro ben fatto, ma attribuisci il male della tua vita a tuo padre o a tua madre, a tuo nonno o a tua nonna, o a chi ti chiamò a scuola idiota, oppure al fatto che la tua famiglia ha una macchina più modesta di quella dei ricchi vicini.
  2. Ergiti quindi a giudice degli altri. Una volta negati il peccato e la colpa, procedi dichiarando tutti gli altri colpevoli così da impedire alla tua coscienza di formulare
    un giudizio negativo nei tuoi confronti. Questo incessante giudizio delle colpe altrui attiverà in te il meccanismo dell’autogiustificazione e ti renderà più “innocente” che mai. Leggi un gran numero di giornali gossip o articoli che hanno il sapore del pettegolezzo, perché questo ti aiuterà a reprimere la tua colpa effettiva, ritenendo gli altri più colpevoli di te.
  3. Quando sei giudicato, reagisci immediatamente con l’irritazione. Fa’ crescere la tua ira in proporzione alla scoperta di quanto giusta sia la critica nei tuoi confronti. Se rifiuti di accettare il consiglio di tua moglie sulla strada da scegliere per la gita in motocicletta, e la tua decisione si rivela sbagliata, arrabbiati con lei per non avertela spiegata con più chiarezza.
  4. Dopo esserti irritato col prossimo, prenditela anche con Dio. Getta il ridicolo sulla religione, cerca errori negli individui che si professano religiosi e fanne il simbolo della Chiesa stessa; nutri un progressivo rancore verso Dio; infine, nega la Sua esistenza e fa’ di te stesso un dio. Come prima avevi proiettato la tua colpa sul fratello con l’ipercritica, così ora puoi alleviare la tua coscienza inquieta accusando della tua colpa Dio stesso.
  5. Diventa duro, ostinato e ribelle. Se sei giovane, comincia a fracassare gli oggetti e ti sarà così possibile dar forza al tuo odio personale verso tutti, e verso Colui che tutti ha creato. La tua irritazione si trasformerà in ostinazione, quindi in aggressività, fino a quando ti accorgerai della «difficoltà di vivere con le persone», perché sono così incapaci di apprezzare le tue doti!
  6. Va’ da uno psicanalista, non dallo psichiatra. Scegli particolarmente lo psicanalista che: A) ti dirà che ogni senso di colpa è anormale; B) ti assicurerà che hai bisogno di un’ulteriore liberazione attraverso la licenza sessuale; C) ti dirà che il falso senso di colpa è dovuto ad un complesso di Edipo se sei un uomo, e ad un complesso di Elettra se sei una donna. Evita con cura di leggere buoni libri di psichiatri quali Paul Tournier o di chiunque altro sostenga che le manifestazioni anormali del senso di colpa abbiano alla radice una colpa autentica. A questo punto sarai colpito da una nevrosi in piena regola, quella che un grande psichiatra ha definito come: «l’incapacità di esonerarsi dalla colpa».
  7. Soffoca al primo insorgere tutte le ispirazioni con cui Dio ti insegna che la negazione del peccato è peggiore del peccato stesso. Queste ispirazioni, che provengono anche dal subconscio, sono delle vere e proprie grazie, e per quanto ti spingano a riconoscere che negare una certa visione rende incurabile la tua cecità, soffocale immediatamente. Definiscile delle “stampelle”, e dì a te stesso: «Perché appoggiarmi ad un estraneo? Sono io il mio creatore, il mio salvatore. Il mio occhio ha luce sufficiente, il mio stomaco il cibo necessario, il mio orecchio non ha bisogno di armonie esterne, né la mia intelligenza di un maestro, il mio senso di colpa non ha bisogno di nessuno… io non ho peccato!». Sei ormai prigioniero della tua nevrosi. D’ora in poi, hai bisogno soltanto di renderla il meno pesante possibile. L’alcolismo ti sarà d’aiuto fino a che la testa non è di nuovo sgombra; poi sarai costretto a bere di nuovo per reprimere il senso di colpa; i sonniferi produrranno uno stato d’incoscienza, ma ti sentirai più a disagio dopo il risveglio. La tua tolleranza per l’umana miseria, la povertà, la malattia e l’infermità diminuirà sempre di più, perché queste ti ricorderanno che non dovresti spendere tutto ciò che hai solo per te stesso. Il cinismo ti spingerà a rifugiarti dietro insignificanti aforismi sulla vita come: «Se non ti aspetti nulla dalla vita, non sarai mai deluso». Torna alla mente l’osservazione di Simenon: «E se non respirerai, non ingoierai mai microbi».

Seguendo le regole appena descritte, svilupperai in te una nevrosi scaturita dall’innocenza e incolpevolezza della tua dolce vita, e dalla malvagità e brutalità della vita altrui. E in ultima analisi, qual è la tua nevrosi? La codardia. La ricerca di spiegazioni al posto del perdono, il malinteso che scambia la croce per una stampella. Quanto siamo stolti noi mortali! Una stampella è qualcosa su cui ci appoggiamo, la croce è qualcosa che poggia su di noi: per guarirci.

(Fulton J. Sheen, da “La strada per la felicità: psicologia e vita cristiana” edizioni Mimep)

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La strada per la felicità

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