Chiunque sia privo di Fede vive nel dolore; dove non ci sono corpi sofferenti, ci sono spiriti tormentati, irrequieti, impauriti, ansiosi.
La nostra generazione può ben dirsi la più infelice della storia della cristianità. La sofferenza è universale; ed il soffrire non è mai lontano dal sacrificio.
Il mal di denti di un santo non è diverso da quello di un uomo malvagio: la differenza tra sofferenza e sacrificio è l’amore di Dio.
Il sacrificio senza amore di Dio è solo sofferenza; la sofferenza con l’amore di Dio diventa sacrificio…
Può ben darsi che le anime moderne soffrano già abbastanza, forse troppo, ma è tutto dolore sprecato. O non se ne fanno un merito non offrendolo a Dio, oppure se ne lamentano, ribelli e minacciose dicendo: “Perché Dio mi fa questo?”. Tra il loro effettivo dolore ed il loro sacrificio potenziale deve venir aperta una breccia per la quale possa penetrare la comprensione di un Amore (Gesù) che soffri’ tutto; perché noi non dobbiamo mai poter dire: “Egli non sa che cosa vuol dire soffrire”.
La sottomissione di un dolore in sacrificio richiede, anzitutto, la sottomissione a Dio della volontà e dell’intelletto. L’intelletto deve mostrarsi docile alla Verità Divina. La volontà deve considerare tutto ciò che la concerne come proveniente dalle mani di un Padre amorevole che desidera soltanto l’eterna felicità dei Suoi figli.
(Beato Fulton J. Sheen, da “Lift Up Your Heart – La felicità del cuore”.)