DAL NUOVO LIBRO DI FULTON SHEEN: LA GRANDE LEZIONE DEL GIORNO DI PASQUA. “Il mondo ebbe torto e Cristo ebbe ragione…E’ meglio essere sconfitti agli occhi del mondo”

UNA BELLISSIMA MEDITAZIONE SULLA PASQUA DAL NUOVO LIBRO DI FULTON SHEEN: “IL REGNO DI DIO È UNA SFIDA. UNA GUIDA PER IL CIELO”

Il libro uscirà nelle librerie il 10 Aprile, ma si può già acquistare sul sito della casa editrice Mimep delle suore, dove si trova anche l’anteprima scaricabile in PDF. Qui il link per l’acquisto 👇

Il mondo ebbe torto e Cristo ebbe ragione. Colui che aveva il potere di offrire la propria vita aveva anche il potere di riprenderla di nuovo; Colui che volle nascere nella carne, volle anche morire; Colui che sapeva come sarebbe morto, sapeva anche come sarebbe risorto per dare a questo minuscolo e misero nostro pianeta un onore ed una gloria che astri fiammeggianti e Pianeti gelosi non condividono: la gloria dell’unica tomba lasciata vuota.La grande lezione del giorno di Pasqua consiste nel fatto che un Vincitore può essere considerato sotto un duplice punto di vista: quello del mondo e quello di Dio. Secondo il mondo, Cristo quel Venerdì Santo fu sconfitto, secondo Dio Egli fu vincitore. Coloro che lo condannarono a morte gli offrirono proprio l’occasione di cui Egli aveva bisogno, coloro che chiusero con la pietra il sepolcro, gli offrirono proprio la porta che Egli desiderava spalancare; il loro apparente trionfo aprì la strada alla Sua suprema vittoria. II Natale ha insegnato che il Divino sta sempre dove il mondo meno se lo aspetta; poiché nessuno si attendeva di trovarlo avvolto in fasce e posto in una mangiatoia. La Pasqua conferma la lezione ripetendo che il Divino sta sempre dove il mondo meno se lo aspetta; poiché nessuno fra quelli del mondo si attendeva che uno sconfitto sarebbe stato il vincitore, che la pietra scartata dai costruttori sarebbe divenuta testata d’angolo, che Colui che era morto, sarebbe ritornato a camminare e che, ignorato, posto in un sepolcro, sarebbe diventato la nostra Risurrezione e la nostra Vita.

Nel giorno di Pasqua, io non intono il canto dei vincitori, ma quello di coloro che hanno subito la sconfitta:

«Io canto l’inno dei vinti, quelli che caddero nella battaglia della Vita, l’inno dei feriti, dei battuti, che perirono soccombendo nella mischia. Non il canto di giubilo dei vincitori, per i quali risuona l’acclamazione elevata in coro dalle nazioni, di quelli con la corona della gloria terrena sulla fronte, ma l’inno dei miseri, degli umili, degli esausti, di quelli dal cuore spezzato, che lottarono e persero, facendo con coraggio la loro parte, silenziosa e senza speranza; la loro gioventù non fu ricca di fiori, le loro speranze finirono in cenere, dalle loro mani sfuggì il bottino che cercavano di afferrare, al loro tramonto stavano fra i cocci della loro vita sparsi attorno, senza ricevere da nessuno compassione o attenzione, soli ed abbandonati. La morte spazzò via il loro fallimento, tutto venne travolto eccetto la loro fede. Mentre il mondo, in coro, innalza il suo elogio a coloro che hanno vinto, mentre la tromba, tenuta alta nella brezza ed al sole suona trionfante, mentre le bandiere sventolano, scrosciano applausi e ci si affretta dietro ai vincitori, cinti d’alloro, io rimango nel campo dei vinti, nell’ombra, con i caduti, i feriti, gli agonizzanti, là recito sottovoce un requiem, gli poso le mie mani sulla loro fronte contratta dalla sofferenza, innalzo sommessamente una preghiera, tengo la mano impotente e sussurro: “Otterranno la vittoria solo coloro che hanno combattuto la buona battaglia, che hanno sbaragliato il demone che li tentava nel loro intimo, che hanno conservato la fede rifiutando di farsi sedurre da quei beni che il mondo stima così tanto; che, per una causa superiore, hanno osato soffrire, resistere, combattere e, se necessario, morire”. Parla, o Storia! Chi sono i vincitori nella battaglia della Vita? Scorri i tuoi annali e di’, sono quelli che il mondo chiama vincitori che conquistarono il successo effimero di un giorno? Sono i martiri o Nerone? Gli Spartani, caduti alle Termopili? O i Persiani e Serse? I suoi giudici o Socrate? Pilato o Cristo?». 

Srotola le pergamene del tempo ed osserva come la lezione di quella prima Pasqua Cristiana si ripete, quando, ad ogni celebrazione della Pasqua si raccontano le vicende del grande Condottiero che è uscito dal sepolcro per rivelare che la vittoria finale, quella definitiva, deve sempre essere intesa come sconfitta agli occhi del mondo. Almeno una dozzina di volte nel corso della sua storia bimillenaria, il mondo nell’impeto di un effimero trionfo, ha posto la pietra a sigillo sul sepolcro della Chiesa, vi ha posto la guardia e l’ha considerata come morta, esausta, sconfitta, solo per vederla risorgere vittoriosa nell’aurora della sua Pasqua. (…)

Infine la Pasqua ci offre una lezione che riguarda la nostra stessa vita.E’ meglio essere sconfitti agli occhi del mondo seguendo la voce della propria coscienza piuttosto che essere vincenti secondo la falsa opinione del mondo; è meglio essere vinti nella santità del vincolo matrimoniale che ottenere l’effimera vittoria del divorzio; è meglio essere vinti in mezzo a tanti figlioli, frutti dell’amore, che vincenti in un’unione volutamente sterile; è meglio essere vinti dall’amore della Croce, che conseguire l’effimera vittoria del mondo che mette in croce. In conclusione è meglio essere sconfitti agli occhi del mondo dando a Dio ciò che è interamente e assolutamente nostro. Se diamo a Dio la nostra energia, Gli restituiamo un Suo dono; se Gli diamo i nostri talenti, le nostre gioie, i nostri beni, Gli rendiamo ciò che Egli mise nelle nostre mani non per esserne proprietari, bensì semplici amministratori.Una sola cosa c’è al mondo che possiamo definire veramente nostra, la sola che possiamo dare a Dio, che è nostra invece che Sua, la sola che Egli non ci toglierà mai; questa cosa è la nostra volontà col suo potere di scegliere l’oggetto del suo amore. Quindi il dono più perfetto che possiamo offrire a Dio è quello della nostra volontà. Agli occhi del mondo, donarla a Dio è la suprema sconfitta che possiamo subire, ma è anche la suprema vittoria che possiamo conseguire agli occhi di Dio. Nel cedergliela ci sembra di perdere tutto, la sconfitta però è il seme della vittoria. La rinuncia alla propria volontà conduce a ritrovare tutto ciò che la volontà abbia mai cercato, la perfezione della Vita, della Verità, dell’Amore, cioè Dio.

E così, nel giorno di Pasqua non cantare l’inno del vincitore, ma quello del perdente. Cosa importa se la strada, in questa vita, sia ripida e disagevole, se la povertà di Betlemme, la solitudine della Galilea, le sofferenze della Croce siano il nostro pane? Mentre combattiamo, santamente ispirati da Colui che ha conquistato il mondo, perché mai dovremmo trattenerci dal manifestare la nostra sfida di fronte all’ipocrisia del mondo? Perché temere di estrarre la spada e assestare il primo colpo mortale al nostro egoismo? Marciando sotto la guida del Condottiero dalle cinque Piaghe, fortificati dai Suoi Sacramenti, resi incrollabili dal Suo essere Verità infallibile, divinizzati dal Suo Amore redentivo, non abbiamo alcun timore circa l’esito della battaglia della vita; nessun dubbio sull’epilogo della sola lotta che conta; nessun bisogno di chiederci se saremo vincitori o perdenti. Perché? Perché abbiamo già vinto – solo che la notizia non è ancora trapelata! 

(Fulton J. Sheen, da “Il Regno di Dio è una sfida: una guida per il Cielo” edizioni Mimep)

Il Regno di Dio è una sfida

LA GRANDE LEZIONE DEL GIORNO DI PASQUA: “Il mondo ebbe torto e Cristo ebbe ragione…E’ meglio essere sconfitti agli occhi del mondo…Nel giorno di Pasqua non cantare l’inno del vincitore, ma quello del perdente”

Il mondo ebbe torto e Cristo ebbe ragione. Colui che aveva il potere di offrire la propria vita aveva anche il potere di riprenderla di nuovo; Colui che volle nascere nella carne, volle anche morire; Colui che sapeva come sarebbe morto, sapeva anche come sarebbe risorto per dare a questo minuscolo e misero nostro pianeta un onore ed una gloria che astri fiammeggianti e Pianeti gelosi non condividono: la gloria dell’unica tomba lasciata vuota.

La grande lezione del giorno di Pasqua consiste nel fatto che un Vincitore può essere considerato sotto un duplice punto di vista: quello del mondo e quello di Dio. Secondo il mondo, Cristo quel Venerdì Santo fu sconfitto, secondo Dio Egli fu vincitore. Coloro che lo condannarono a morte gli offrirono proprio l’occasione di cui Egli aveva bisogno, coloro che chiusero con la pietra il sepolcro, gli offrirono proprio la porta che Egli desiderava spalancare; il loro apparente trionfo aprì la strada alla Sua suprema vittoria. II Natale ha insegnato che il Divino sta sempre dove il mondo meno se lo aspetta; poiché nessuno si attendeva di trovarlo avvolto in fasce e posto in una mangiatoia. La Pasqua conferma la lezione ripetendo che il Divino sta sempre dove il mondo meno se lo aspetta; poiché nessuno fra quelli del mondo si attendeva che uno sconfitto sarebbe stato il vincitore, che la pietra scartata dai costruttori sarebbe divenuta testata d’angolo, che Colui che era morto, sarebbe ritornato a camminare e che, ignorato, posto in un sepolcro, sarebbe diventato la nostra Risurrezione e la nostra Vita. 

Nel giorno di Pasqua, io non intono il canto dei vincitori, ma quello di coloro che hanno subito la sconfitta:

«Io canto l’inno dei vinti, quelli che caddero nella battaglia della Vita, l’inno dei feriti, dei battuti, che perirono soccombendo nella mischia. Non il canto di giubilo dei vincitori, per i quali risuona l’acclamazione elevata in coro dalle nazioni, di quelli con la corona della gloria terrena sulla fronte, ma l’inno dei miseri, degli umili, degli esausti, di quelli dal cuore spezzato, che lottarono e persero, facendo con coraggio la loro parte, silenziosa e senza speranza; la loro gioventù non fu ricca di fiori, le loro speranze finirono in cenere, dalle loro mani sfuggì il bottino che cercavano di afferrare, al loro tramonto stavano fra i cocci della loro vita sparsi attorno, senza ricevere da nessuno compassione o attenzione, soli ed abbandonati. La morte spazzò via il loro fallimento, tutto venne travolto eccetto la loro fede. Mentre il mondo, in coro, innalza il suo elogio a coloro che hanno vinto, mentre la tromba, tenuta alta nella brezza ed al sole suona trionfante, mentre le bandiere sventolano, scrosciano applausi e ci si affretta dietro ai vincitori, cinti d’alloro, io rimango nel campo dei vinti, nell’ombra, con i caduti, i feriti, gli agonizzanti, là recito sottovoce un requiem, gli poso le mie mani sulla loro fronte contratta dalla sofferenza, innalzo sommessamente una preghiera, tengo la mano impotente e sussurro: “Otterranno la vittoria solo coloro che hanno combattuto la buona battaglia, che hanno sbaragliato il demone che li tentava nel loro intimo, che hanno conservato la fede rifiutando di farsi sedurre da quei beni che il mondo stima così tanto; che, per una causa superiore, hanno osato soffrire, resistere, combattere e, se necessario, morire”. Parla, o Storia! Chi sono i vincitori nella battaglia della Vita? Scorri i tuoi annali e di’, sono quelli che il mondo chiama vincitori che conquistarono il successo effimero di un giorno? Sono i martiri o Nerone? Gli Spartani, caduti alle Termopili? O i Persiani e Serse? I suoi giudici o Socrate? Pilato o Cristo?». 

Srotola le pergamene del tempo ed osserva come la lezione di quella prima Pasqua Cristiana si ripete, quando, ad ogni celebrazione della Pasqua si raccontano le vicende del grande Condottiero che è uscito dal sepolcro per rivelare che la vittoria finale, quella definitiva, deve sempre essere intesa come sconfitta agli occhi del mondo. Almeno una dozzina di volte nel corso della sua storia bimillenaria, il mondo nell’impeto di un effimero trionfo, ha posto la pietra a sigillo sul sepolcro della Chiesa, vi ha posto la guardia e l’ha considerata come morta, esausta, sconfitta, solo per vederla risorgere vittoriosa nell’aurora della sua Pasqua. (…)

Infine la Pasqua ci offre una lezione che riguarda la nostra stessa vita.

E’ meglio essere sconfitti agli occhi del mondo seguendo la voce della propria coscienza piuttosto che essere vincenti secondo la falsa opinione del mondo; è meglio essere vinti nella santità del vincolo matrimoniale che ottenere l’effimera vittoria del divorzio; è meglio essere vinti in mezzo a tanti figlioli, frutti dell’amore, che vincenti in un’unione volutamente sterile; è meglio essere vinti dall’amore della Croce, che conseguire l’effimera vittoria del mondo che mette in croce. In conclusione è meglio essere sconfitti agli occhi del mondo dando a Dio ciò che è interamente e assolutamente nostro. Se diamo a Dio la nostra energia, Gli restituiamo un Suo dono; se Gli diamo i nostri talenti, le nostre gioie, i nostri beni, Gli rendiamo ciò che Egli mise nelle nostre mani non per esserne proprietari, bensì semplici amministratori.

Una sola cosa c’è al mondo che possiamo definire veramente nostra, la sola che possiamo dare a Dio, che è nostra invece che Sua, la sola che Egli non ci toglierà mai; questa cosa è la nostra volontà col suo potere di scegliere l’oggetto del suo amore. Quindi il dono più perfetto che possiamo offrire a Dio è quello della nostra volontà. Agli occhi del mondo, donarla a Dio è la suprema sconfitta che possiamo subire, ma è anche la suprema vittoria che possiamo conseguire agli occhi di Dio. Nel cedergliela ci sembra di perdere tutto, la sconfitta però è il seme della vittoria. La rinuncia alla propria volontà conduce a ritrovare tutto ciò che la volontà abbia mai cercato, la perfezione della Vita, della Verità, dell’Amore, cioè Dio.

E così, nel giorno di Pasqua non cantare l’inno del vincitore, ma quello del perdente. Cosa importa se la strada, in questa vita, sia ripida e disagevole, se la povertà di Betlemme, la solitudine della Galilea, le sofferenze della Croce siano il nostro pane? Mentre combattiamo, santamente ispirati da Colui che ha conquistato il mondo, perché mai dovremmo trattenerci dal manifestare la nostra sfida di fronte all’ipocrisia del mondo? Perché temere di estrarre la spada e assestare il primo colpo mortale al nostro egoismo? Marciando sotto la guida del Condottiero dalle cinque Piaghe, fortificati dai Suoi Sacramenti, resi incrollabili dal Suo essere Verità infallibile, divinizzati dal Suo Amore redentivo, non abbiamo alcun timore circa l’esito della battaglia della vita; nessun dubbio sull’epilogo della sola lotta che conta; nessun bisogno di chiederci se saremo vincitori o perdenti. Perché? Perché abbiamo già vinto – solo che la notizia non è ancora trapelata! 

(Fulton J. Sheen, da “Il Regno di Dio è una sfida: una guida per il Cielo” edizioni Mimep)

IL PARADOSSO PIÙ STRAORDINARIO DELLA STORIA DEL MONDO

Per il paradosso più straordinario della storia del mondo, crocifiggendo Cristo hanno dimostrato che Lui aveva ragione e loro avevano torto, e sconfiggendolo hanno perso. Uccidendolo Lo hanno trasformato: per la potenza di Dio hanno cambiato la mortalità in Immortalità. La Croce era proprio ciò che Egli disse che un uomo deve portare per essere rifatto; Gli diedero la croce ed Egli la trasformò in un trono di gloria. Disse che un uomo deve morire per vivere; Gli diedero la morte ed Egli visse di nuovo. Disse che se il seme caduto in terra non muore, rimane solo; Lo piantarono come un seme il venerdì, e a Pasqua risuscitò nella novità della vita divina, come il fiore che spunta dalla zolla in primavera. Ha detto che nessuno sarà esaltato se non è umiliato; Lo hanno umiliato sul Calvario, ed Egli è stato esaltato e si è innalzato sopra un sepolcro vuoto. Hanno seminato il Suo corpo nel disonore ed è risorto nella gloria; Lo hanno seminato nella debolezza ed è risorto nella potenza. Nel togliergli la vita, Gli hanno dato Nuova Vita…Rifate l’uomo e rifarete il mondo!

(Fulton J. Sheen, da “Justice and Charity”)

COSA CI INSEGNANO LE PIAGHE DEL CRISTO RISORTO?

Ci insegnano che la vita è una lotta: che la nostra condizione di resurrezione finale è esattamente uguale alla Sua; che se non c’è una Croce nella nostra vita, non ci sarà mai una tomba vuota; se non c’è un Venerdì Santo, non ci sarà mai una Domenica di Pasqua; se non c’è una corona di spine, non ci sarà mai un’aureola di luce; e se non soffriamo con Lui, non risorgeremo con Lui.

Il Cristo delle Stigmate non ci ha dato nessuna pace che elimina le lotte, perché Dio odia la pace in coloro che sono destinati alla guerra contro il male. Le Piaghe non solo ci ricordano che la vita è una guerra, ma sono anche promesse di vittoria in quella guerra. (…)

Non pensate, quindi, che il Gesù delle Stigmate e la sua vittoria sul male ci dia l’immunità dal male e dal dolore, dalla sofferenza, dalla crocifissione e dalla morte. Ciò che Egli offre non è l’immunità dal male nel mondo fisico, ma una possibilità di perdono per il peccato nelle nostre anime. La conquista finale del male fisico arriverà nella resurrezione dei giusti.

Ma Egli insegna, a un nobile esercito di sofferenti nel mondo, a sopportare il peggio che questa vita ha da offrire con coraggio e serenità, e a considerare tutte le sue prove come “l’ombra della Sua Mano carezzevolmente protesa su di noi”, e a trasfigurare alcuni dei più grandi dolori della vita nelle più ricche conquiste della vita spirituale.

(Fulton J. Sheen, da “I Personaggi della Passione”)

La Risurrezione è il fatto centrale della Fede Cristiana. Inizia con la sconfitta, la crocifissione, e il dolore, ma finisce nel trionfo. Le religioni “allegre” possono funzionare nei giorni in cui non c’è morte, dolore o sofferenza, ma ci è voluto l’Amore di Dio, che tocca le tragedie della nostra vita, per convincerci che in Lui, anche noi, possiamo avere la nostra Pasqua dopo il nostro Venerdì Santo.

La Croce ci rivela che se non ci sarà un Venerdì Santo nella nostra vita, non ci sarà mai una Domenica di Pasqua. A meno che non ci sia una corona di spine, non ci sarà mai l’aureola di luce. A meno che non ci sia un corpo flagellato, non ci sarà mai un corpo glorificato. La morte del sé inferiore è la condizione per la risurrezione del sé superiore.

Il mondo ci dice, come disse a Cristo sulla croce: “Scendi, e noi crederemo!”. Ma se fosse sceso, non ci avrebbe mai salvati. È umano scendere, è divino stare sulla Croce.

Un cuore spezzato, o Salvatore del mondo, è la migliore culla dell’Amore! Colpisci il mio, come Mosè ha fatto con la roccia, affinché entri il Tuo Amore.

(Fulton J. Sheen)

LA SOLA COSA CHE OGGI PUÒ ESSERCI DI CONFORTO È IL CRISTO RISORTO CON LE SUE PIAGHE GLORIOSE

Mentre la nostra terra reca queste cicatrici, chi mai può indurci a sperare che davanti a noi avremo giorni migliori e che tutta questa sofferenza, tutta questa angoscia, non siano una beffa, un inganno?

Una cosa è certa: che le nostre ali spezzate non possono essere risanate da quel Cristo “Liberale” inventato dal secolo decimonono che fece di Lui nient’altro che un moralista simile a Socrate, a Maometto, a Buddha o a Confucio, e che, come loro, fu imprigionato nei ceppi della morte.

La sola cosa che oggi può esserci di conforto è il Cristo Risorto con le Sue Piaghe Gloriose, passato anche Lui attraverso la morte per darci la Speranza e la Vita: il Cristo, cioè, della mattina di Pasqua.

Risaltano, nella storia della Pasqua, le Stigmate di Cristo.

La Maddalena, che era stata sempre ai Suoi Piedi, o nella casa di Simone o presso la Croce, si trova questa volta nel giardino del sepolcro, e soltanto quando scorge su quei Piedi le livide Piaghe che testimoniano della guerra del Calvario riconosce il suo Signore e grida: “Rabbuni!”, che significa “Maestro”.

Il Cristo di cui oggi il mondo ha bisogno è il Cristo Virile, che a un mondo iniquo può mostrare i Segni della Vittoria nel Suo Corpo Stesso, offerto in cruento Sacrificio per la salvezza dell’Umanità. In questi terribili giorni non possono salvarci e confortarci i falsi dèi, immuni da affanni e dolori.

(Fulton J. Sheen, da “I Personaggi della Passione”)

LA LEGGE DEL CALVARIO DI CRISTO È LA LEGGE DI OGNI CRISTIANO!

Se un uomo vuole godere della Comunione con Cristo, per avere il Sangue di Dio che scorre nelle sue vene e lo Spirito di Dio che pulsa nella sua anima, deve morire alla vita inferiore della carne. Deve rinascere!

E quindi, la legge del Calvario di Cristo è la legge di ogni cristiano: a meno che non ci sia una Croce non ci sarà mai la risurrezione, a meno che non ci sia la sconfitta del Calvario non ci sarà mai la vittoria della Pasqua, a meno che non ci siano i chiodi non ci saranno mai le ferite gloriose, a meno che non ci sia l’abito del disprezzo non ci saranno mai le vesti che ardono come il sole, a meno che non ci sia la corona di spine non ci sarà mai l’aureola di luce!

La legge stabilita dall’inizio dei tempi, che sarà valida fino a quando il tempo finirà, è questa: nessuno sarà incoronato a meno che non abbia lottato e vinto.

(Fulton J. Sheen, da “Il Regno di Dio è una sfida: una guida per il Cielo” edizioni Mimep)

SE NON SOFFRIAMO CON CRISTO NON RISORGEREMO CON LUI. Cosa ci insegnano le Piaghe del Cristo Risorto?

Mentre la nostra terra reca queste piaghe, chi mai può indurci a sperare che davanti a noi avremo giorni migliori e che tutta questa sofferenza, tutta questa angoscia, non siano una beffa, un inganno?

Una cosa è certa: che le nostre ali spezzate non possono essere risanate da quel Cristo “Liberale” inventato dal secolo decimonono che fece di Lui nient’altro che un moralista simile a Socrate, a Maometto, a Buddha o a Confucio, e che, come loro, fu imprigionato nei ceppi della morte.

La sola cosa che oggi può esserci di conforto è il Cristo Risorto con le Sue Piaghe Gloriose, passato anche Lui attraverso la morte per darci la Speranza e la Vita: il Cristo, cioè, della mattina di Pasqua.

Risaltano, nella storia della Pasqua, le Stigmate di Cristo.

La Maddalena, che era stata sempre ai Suoi Piedi, o nella casa di Simone o presso la Croce, si trova questa volta nel giardino del sepolcro, e soltanto quando scorge su quei Piedi le livide Piaghe che testimoniano della guerra del Calvario riconosce il suo Signore e grida: “Rabbuni!”, che significa “Maestro”.

Il Cristo di cui oggi il mondo ha bisogno è il Cristo Virile, che a un mondo iniquo può mostrare i Segni della Vittoria nel Suo Corpo Stesso, offerto in cruento Sacrificio per la salvezza dell’Umanità. In questi terribili giorni non possono salvarci e confortarci i falsi dèi, immuni da affanni e dolori. (…)

Cosa ci insegnano le Piaghe di Cristo?

Ci insegnano che la vita è una lotta: che la nostra condizione di resurrezione finale è esattamente uguale alla Sua; che se non c’è una Croce nella nostra vita, non ci sarà mai una tomba vuota; se non c’è un Venerdì Santo, non ci sarà mai una Domenica di Pasqua; se non c’è una corona di spine, non ci sarà mai un’aureola di luce; e se non soffriamo con Lui, non risorgeremo con Lui.

Il Cristo delle Stigmate non ci ha dato nessuna pace che elimina le lotte, perché Dio odia la pace in coloro che sono destinati alla guerra contro il male. Le Piaghe non solo ci ricordano che la vita è una guerra, ma sono anche promesse di vittoria in quella guerra.

Gesù Nostro Signore ha detto: “Ho vinto il mondo”. Con questo Egli intende dire che ha vinto il male in linea di principio. (…)

Il male non potrà mai essere più forte di quel giorno sul Calvario, perché la cosa peggiore che il male può fare non è distruggere le città, fare guerre o sganciare bombe atomiche contro i vivi. La cosa peggiore che il male può fare è uccidere Dio, uccidere la Vita Divina! Ma essendo stato sconfitto in questo sul Calvario, nel suo momento più forte, quando il male indossava la sua più grande armatura, non potrà mai più essere vittorioso.

Non pensate, quindi, che il Gesù delle Stigmate e la sua vittoria sul male ci dia l’immunità dal male e dal dolore, dalla sofferenza, dalla crocifissione e dalla morte. Ciò che Egli offre non è l’immunità dal male nel mondo fisico, ma una possibilità di perdono per il peccato nelle nostre anime. La conquista finale del male fisico arriverà nella resurrezione dei giusti.

Ma Egli insegna, a un nobile esercito di sofferenti nel mondo, a sopportare il peggio che questa vita ha da offrire con coraggio e serenità, e a considerare tutte le sue prove come “l’ombra della Sua Mano carezzevolmente protesa su di noi”, e a trasfigurare alcuni dei più grandi dolori della vita nelle più ricche conquiste della vita spirituale.

(Fulton J. Sheen, da “I Personaggi della Passione”)

LA GRANDE LEZIONE DEL GIORNO DI PASQUA: “Il mondo ebbe torto e Cristo ebbe ragione…E’ meglio essere sconfitti agli occhi del mondo…Nel giorno di Pasqua non cantare l’inno del vincitore, ma quello del perdente”

Il mondo ebbe torto e Cristo ebbe ragione. Colui che aveva il potere di offrire la propria vita aveva anche il potere di riprenderla di nuovo; Colui che volle nascere nella carne, volle anche morire; Colui che sapeva come sarebbe morto, sapeva anche come sarebbe risorto per dare a questo minuscolo e misero nostro pianeta un onore ed una gloria che astri fiammeggianti e Pianeti gelosi non condividono: la gloria dell’unica tomba lasciata vuota.

La grande lezione del giorno di Pasqua consiste nel fatto che un Vincitore può essere considerato sotto un duplice punto di vista: quello del mondo e quello di Dio. Secondo il mondo, Cristo quel Venerdì Santo fu sconfitto, secondo Dio Egli fu vincitore. Coloro che lo condannarono a morte gli offrirono proprio l’occasione di cui Egli aveva bisogno, coloro che chiusero con la pietra il sepolcro, gli offrirono proprio la porta che Egli desiderava spalancare; il loro apparente trionfo aprì la strada alla Sua suprema vittoria. II Natale ha insegnato che il Divino sta sempre dove il mondo meno se lo aspetta; poiché nessuno si attendeva di trovarlo avvolto in fasce e posto in una mangiatoia. La Pasqua conferma la lezione ripetendo che il Divino sta sempre dove il mondo meno se lo aspetta; poiché nessuno fra quelli del mondo si attendeva che uno sconfitto sarebbe stato il vincitore, che la pietra scartata dai costruttori sarebbe divenuta testata d’angolo, che Colui che era morto, sarebbe ritornato a camminare e che, ignorato, posto in un sepolcro, sarebbe diventato la nostra Risurrezione e la nostra Vita. 

Nel giorno di Pasqua, io non intono il canto dei vincitori, ma quello di coloro che hanno subito la sconfitta:

«Io canto l’inno dei vinti, quelli che caddero nella battaglia della Vita, l’inno dei feriti, dei battuti, che perirono soccombendo nella mischia. Non il canto di giubilo dei vincitori, per i quali risuona l’acclamazione elevata in coro dalle nazioni, di quelli con la corona della gloria terrena sulla fronte, ma l’inno dei miseri, degli umili, degli esausti, di quelli dal cuore spezzato, che lottarono e persero, facendo con coraggio la loro parte, silenziosa e senza speranza; la loro gioventù non fu ricca di fiori, le loro speranze finirono in cenere, dalle loro mani sfuggì il bottino che cercavano di afferrare, al loro tramonto stavano fra i cocci della loro vita sparsi attorno, senza ricevere da nessuno compassione o attenzione, soli ed abbandonati. La morte spazzò via il loro fallimento, tutto venne travolto eccetto la loro fede. Mentre il mondo, in coro, innalza il suo elogio a coloro che hanno vinto, mentre la tromba, tenuta alta nella brezza ed al sole suona trionfante, mentre le bandiere sventolano, scrosciano applausi e ci si affretta dietro ai vincitori, cinti d’alloro, io rimango nel campo dei vinti, nell’ombra, con i caduti, i feriti, gli agonizzanti, là recito sottovoce un requiem, gli poso le mie mani sulla loro fronte contratta dalla sofferenza, innalzo sommessamente una preghiera, tengo la mano impotente e sussurro: “Otterranno la vittoria solo coloro che hanno combattuto la buona battaglia, che hanno sbaragliato il demone che li tentava nel loro intimo, che hanno conservato la fede rifiutando di farsi sedurre da quei beni che il mondo stima così tanto; che, per una causa superiore, hanno osato soffrire, resistere, combattere e, se necessario, morire”. Parla, o Storia! Chi sono i vincitori nella battaglia della Vita? Scorri i tuoi annali e di’, sono quelli che il mondo chiama vincitori che conquistarono il successo effimero di un giorno? Sono i martiri o Nerone? Gli Spartani, caduti alle Termopili? O i Persiani e Serse? I suoi giudici o Socrate? Pilato o Cristo?». 

Srotola le pergamene del tempo ed osserva come la lezione di quella prima Pasqua Cristiana si ripete, quando, ad ogni celebrazione della Pasqua si raccontano le vicende del grande Condottiero che è uscito dal sepolcro per rivelare che la vittoria finale, quella definitiva, deve sempre essere intesa come sconfitta agli occhi del mondo. Almeno una dozzina di volte nel corso della sua storia bimillenaria, il mondo nell’impeto di un effimero trionfo, ha posto la pietra a sigillo sul sepolcro della Chiesa, vi ha posto la guardia e l’ha considerata come morta, esausta, sconfitta, solo per vederla risorgere vittoriosa nell’aurora della sua Pasqua. (…)

Infine la Pasqua ci offre una lezione che riguarda la nostra stessa vita.

E’ meglio essere sconfitti agli occhi del mondo seguendo la voce della propria coscienza piuttosto che essere vincenti secondo la falsa opinione del mondo; è meglio essere vinti nella santità del vincolo matrimoniale che ottenere l’effimera vittoria del divorzio; è meglio essere vinti in mezzo a tanti figlioli, frutti dell’amore, che vincenti in un’unione volutamente sterile; è meglio essere vinti dall’amore della Croce, che conseguire l’effimera vittoria del mondo che mette in croce. In conclusione è meglio essere sconfitti agli occhi del mondo dando a Dio ciò che è interamente e assolutamente nostro. Se diamo a Dio la nostra energia, Gli restituiamo un Suo dono; se Gli diamo i nostri talenti, le nostre gioie, i nostri beni, Gli rendiamo ciò che Egli mise nelle nostre mani non per esserne proprietari, bensì semplici amministratori.

Una sola cosa c’è al mondo che possiamo definire veramente nostra, la sola che possiamo dare a Dio, che è nostra invece che Sua, la sola che Egli non ci toglierà mai; questa cosa è la nostra volontà col suo potere di scegliere l’oggetto del suo amore. Quindi il dono più perfetto che possiamo offrire a Dio è quello della nostra volontà. Agli occhi del mondo, donarla a Dio è la suprema sconfitta che possiamo subire, ma è anche la suprema vittoria che possiamo conseguire agli occhi di Dio. Nel cedergliela ci sembra di perdere tutto, la sconfitta però è il seme della vittoria. La rinuncia alla propria volontà conduce a ritrovare tutto ciò che la volontà abbia mai cercato, la perfezione della Vita, della Verità, dell’Amore, cioè Dio.

E così, nel giorno di Pasqua non cantare l’inno del vincitore, ma quello del perdente. Cosa importa se la strada, in questa vita, sia ripida e disagevole, se la povertà di Betlemme, la solitudine della Galilea, le sofferenze della Croce siano il nostro pane? Mentre combattiamo, santamente ispirati da Colui che ha conquistato il mondo, perché mai dovremmo trattenerci dal manifestare la nostra sfida di fronte all’ipocrisia del mondo? Perché temere di estrarre la spada e assestare il primo colpo mortale al nostro egoismo? Marciando sotto la guida del Condottiero dalle cinque Piaghe, fortificati dai Suoi Sacramenti, resi incrollabili dal Suo essere Verità infallibile, divinizzati dal Suo Amore redentivo, non abbiamo alcun timore circa l’esito della battaglia della vita; nessun dubbio sull’epilogo della sola lotta che conta; nessun bisogno di chiederci se saremo vincitori o perdenti. Perché? Perché abbiamo già vinto – solo che la notizia non è ancora trapelata! 

(Fulton J. Sheen, da “Il Regno di Dio è una sfida: una guida per il Cielo” edizioni Mimep)

IL PARADOSSO PIÙ STRAORDINARIO DELLA STORIA DEL MONDO

Per il paradosso più straordinario della storia del mondo, crocifiggendo Cristo hanno dimostrato che Lui aveva ragione e loro avevano torto, e sconfiggendolo hanno perso. Uccidendolo Lo hanno trasformato: per la potenza di Dio hanno cambiato la mortalità in Immortalità. La Croce era proprio ciò che Egli disse che un uomo deve portare per essere rifatto; Gli diedero la croce ed Egli la trasformò in un trono di gloria. Disse che un uomo deve morire per vivere; Gli diedero la morte ed Egli visse di nuovo. Disse che se il seme caduto in terra non muore, rimane solo; Lo piantarono come un seme il venerdì, e a Pasqua risuscitò nella novità della vita divina, come il fiore che spunta dalla zolla in primavera. Ha detto che nessuno sarà esaltato se non è umiliato; Lo hanno umiliato sul Calvario, ed Egli è stato esaltato e si è innalzato sopra un sepolcro vuoto. Hanno seminato il Suo corpo nel disonore ed è risorto nella gloria; Lo hanno seminato nella debolezza ed è risorto nella potenza. Nel togliergli la vita, Gli hanno dato Nuova Vita…Rifate l’uomo e rifarete il mondo!

(Fulton J. Sheen, da “Justice and Charity”)

SANTA PASQUA! La Risurrezione è il fatto centrale della Fede Cristiana. Inizia con la sconfitta, la crocifissione e il dolore, ma finisce nel trionfo.

Il Cristianesimo, diversamente da qualsiasi altra religione al mondo, inizia con la catastrofe e la sconfitta. Le religioni raggianti e le ispirazioni di natura psicologica crollano nella calamità e appassiscono nelle avversità. La Vita del Fondatore del Cristianesimo, invece, essendo cominciata con la Croce, termina con il sepolcro vuoto e la Vittoria!

(Fulton J. Sheen, da “Vita di Cristo”)

La Risurrezione è il fatto centrale della Fede Cristiana. Inizia con la sconfitta, la crocifissione e il dolore, ma finisce nel trionfo. Le religioni “allegre” possono funzionare nei giorni in cui non c’è morte, dolore o sofferenza, ma ci è voluto l’Amore di Dio, che tocca le tragedie della nostra vita, per convincerci che in Lui, anche noi, possiamo avere la nostra Pasqua dopo il nostro Venerdì Santo.

La Croce ci rivela che se non ci sarà un Venerdì Santo nella nostra vita, non ci sarà mai una Domenica di Pasqua. A meno che non ci sia una corona di spine, non ci sarà mai l’aureola di luce. A meno che non ci sia un corpo flagellato, non ci sarà mai un corpo glorificato. La morte del sé inferiore è la condizione per la risurrezione del sé superiore.

Il mondo ci dice, come disse a Cristo sulla croce: “Scendi, e noi crederemo!”. Ma se fosse sceso, non ci avrebbe mai salvati. È umano scendere, è divino stare sulla Croce.

Un cuore spezzato, o Salvatore del mondo, è la migliore culla dell’Amore! Colpisci il mio, come Mosè ha fatto con la roccia, affinché entri il Tuo Amore.

(Fulton J. Sheen)

La Croce aveva fatto le domande, la Risurrezione aveva risposto…

La Croce aveva chiesto:

“Perché Dio permette al male e al peccato di inchiodare la Giustizia all’albero?”

La Risurrezione ha risposto:

“Perché il peccato che ha fatto il suo peggio potrebbe esaurirsi e quindi essere vinto dall’Amore che è più forte del peccato o della morte.”

Così emerge la lezione pasquale che il potere del male e il caos di ogni momento può essere sfidato e conquistato perché la base della nostra speranza non è in nessun costrutto del potere umano, ma nel Potere di Dio che ha dato al male di questa terra la sua unica ferita mortale: una tomba aperta, un sepolcro spalancato e una tomba vuota!

(Fulton J. Sheen, da “Cross-Ways”)

Il Nostro Benedetto Signore ha paragonato se stesso a un seme, dicendo che se il seme non fosse caduto in terra e morto, non sarebbe risorto alla vita. Ora, per la potenza di Dio, Egli risorge con i fiori della primavera nella novità della vita, e dà alla terra l’unica ferita grave che abbia mai ricevuto: la ferita irreparabile di una tomba vuota.

La nascita del Figlio di Dio in forma d’uomo fu annunciata a una Vergine; il primo annuncio della sua risurrezione fu fatto a una peccatrice pentita, la Maddalena, affinché nessuno di noi fosse senza speranza. L’apostolo Tommaso non avrebbe creduto finché non avesse messo la mano nel suo fianco e le dita nelle mani di Nostro Signore. Così sappiamo che nostro Signore ha conservato non le sue ferite, ma le sue cicatrici come prova del Suo Amore: “Con queste sono stato ferito nella casa di coloro che mi amano”.

La Risurrezione comincia a influenzare la nostra vita il giorno del Battesimo. Quando veniamo battezzati, siamo immersi nelle acque come sepolti nel sepolcro al peccato e alla morte; emergendo dalle acque rivestiti di grazia come principio dell’Amore Divino, siamo come il Cristo che risorge dalla tomba nella gloria della Risurrezione. Sebbene siamo risorti in spirito con Cristo, così che la nostra conversazione è in Cielo, i nostri corpi non condivideranno quella gloria fino alla nostra risurrezione finale. Nel frattempo il nostro corpo deve essere crocifisso con quello di Cristo per poter risorgere con Lui.

Sulla strada di Emmaus la Domenica di Pasqua, Nostro Signore disse ai suoi discepoli: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”

Ma se questa è la legge dell’Innocenza, come potremo noi, i colpevoli, sperare di sfuggirvi?

(Fulton J. Sheen, da “The Fifteen Mysteries”)

Mentre la nostra terra reca queste cicatrici, chi mai può indurci a sperare che davanti a noi avremo giorni migliori e che tutta questa sofferenza, tutta questa angoscia, non siano una beffa, un inganno?

Una cosa è certa: che le nostre ali spezzate non possono essere risanate da quel Cristo “Liberale” inventato dal secolo decimonono che fece di Lui nient’altro che un moralista simile a Socrate, a Maometto, a Buddha o a Confucio, e che, come loro, fu imprigionato nei ceppi della morte.

La sola cosa che oggi può esserci di conforto è il Cristo Risorto con le Sue Piaghe Gloriose, passato anche Lui attraverso la morte per darci la Speranza e la Vita: il Cristo, cioè, della mattina di Pasqua.

Risaltano, nella storia della Pasqua, le Stigmate di Cristo.

La Maddalena, che era stata sempre ai Suoi Piedi, o nella casa di Simone o presso la Croce, si trova questa volta nel giardino del sepolcro, e soltanto quando scorge su quei Piedi le livide Piaghe che testimoniano della guerra del Calvario riconosce il suo Signore e grida: “Rabbuni!”, che significa “Maestro”.

Il Cristo di cui oggi il mondo ha bisogno è il Cristo Virile, che a un mondo iniquo può mostrare i Segni della Vittoria nel Suo Corpo Stesso, offerto in cruento Sacrificio per la salvezza dell’Umanità. In questi terribili giorni non possono salvarci e confortarci i falsi dèi, immuni da affanni e dolori.

(Fulton J. Sheen, da “I Personaggi della Passione”)

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