La Croce di Cristo mette in luce quanto c’è di peggio in noi, rivelando che cosa può fare il peccato contro la Bontà e l’Amore. Uno sguardo a Cristo sulla Croce, e la crosta sarà strappata dalla piaga profonda del peccato, che si rivelerà in tutta la sua bruttura.

Non è vero che il riconoscere i propri peccati come tali induca a un complesso di colpa o morbosità. Nel ragazzo che va a scuola si sviluppa forse un complesso d’ignoranza? L’ammalato che va dal medico ha forse un complesso d’infermità? Lo studente si concentra non sulla propria ignoranza, ma sulla sapienza dell’insegnante; l’ammalato si concentra non sulla propria malattia, ma sui poteri curativi del medico; e il peccatore, vedendo i suoi peccati per ciò che essi sono, si concentra non sulla propria colpa, ma sul potere di redenzione del Divino Medico. Non esiste prova alcuna che conforti l’affermazione di alcuni psichiatri moderni secondo i quali la coscienza del peccato tende a rendere morbosa una persona.

Chiamare un uomo “codardo” perché chiede a Dio di perdonargli è come dire “codardo” a quegli che, vedendo la propria casa in preda alle fiamme, chiama i pompieri. Se vi è qualche cosa di morboso nell’ammissione di un peccatore che riconosce di aver violato i suoi rapporti col Divino Amore, è tuttavia una malattia piacevole se paragonata alla vera e tremenda morbosità di chi è ammalato e rifiuta di ammetterlo. La maggiore raffinatezza dell’orgoglio, la forma più spregevole dell’evasione è il rifiuto di esaminare se stessi per il timore di scoprire il peccato.

Come un ubriacone a volte prende coscienza della gravità della sua intemperanza solo vedendo il danno che ha arrecato alla propria famiglia che tanto lo amava, così anche i peccatori possono arrivare a una comprensione della loro perversità quando riescono a capire ciò che hanno fatto al nostro Divino Signore.

Perciò la Croce ha sempre avuto un ruolo principale nella pittura cristiana. Essa mette in luce quanto c’è di peggio in noi, rivelando che cosa può fare il peccato contro la Bontà e l’Amore. E mette in luce quanto vi è di meglio in noi, rivelando ciò che la Bontà può fare per il peccato: perdonare ed espiare nel momento della maggiore gravità del peccato stesso. La Croce di Cristo fa per noi qualche cosa che noi non possiamo fare. Noi non siamo che spettatori; ma di fronte alla Croce passiamo dalla condizione di spettatori a quella di attori.

Se qualcuno crede che la confessione della sua colpa sia un’evasione, fatelo inginocchiare una volta ai piedi della Croce: non potrà non sentirsi implicato in quella tragedia. Uno sguardo a Cristo sulla Croce, e la crosta sarà strappata dalla piaga profonda del peccato, che si rivelerà in tutta la sua bruttura. Un lampo di quella Luce del Mondo distruggerà la cecità generata dai peccati e farà ardere nell’anima la verità dei nostri rapporti col Signore. Coloro che si sono rifiutati di salire il Calvario sono quelli che non piangono sui loro peccati. Una volta che vi è salita, un’anima non può più dire che il peccato non ha importanza.

(Fulton J. Sheen, da “La Pace dell’Anima”)

COSA HA A CHE FARE LA NASCITA DI GESÙ CON LA POLITICA, L’ECONOMIA E LA SOCIETÀ DI OGGI? SENZA DIO LA SOCIETÀ VA DI MALE IN PEGGIO! IL MONDO HA BISOGNO DI DIO!

“Non è la nostra economia o la politica che ha fallito; è l’uomo che ha fallito, l’uomo che ha dimenticato Dio!”

Viviamo in tempi pericolosi, in cui i cuori e le anime degli uomini sono messi a dura prova. Mai prima d’ora il futuro è stato così imprevedibile…

E in tutta questa confusione e sconcerto i nostri “profeti” moderni dicono che la nostra economia ci ha deluso…No!

Non è la nostra economia che ha fallito; è l’uomo che ha fallito, l’uomo che ha dimenticato Dio!

Quindi, nessun metodo di riaggiustamento economico o politico potrà salvare la nostra civiltà; possiamo essere salvati solo da un rinnovamento dell’uomo interiore, solo da una purificazione del nostro cuore e delle nostre anime; perché solo cercando prima il Regno di Dio e la Sua Giustizia tutte queste altre cose ci saranno date in aggiunta. In questo modo, 2000 fa, il mondo si è salvato dal paganesimo e dall’egoismo. Ed è così che sarà salvato di nuovo. (…)

Cosa ha a che fare la nascita di Dio sotto la forma di un Bambino con le condizioni sociali, politiche ed economiche del suo e del nostro tempo? Quale possibile relazione potrebbe esistere tra un Bambino in una mangiatoia di paglia e Cesare sul suo trono d’oro?

La risposta è questa: La nascita del Figlio di Dio nella carne è stata l’introduzione nell’ordine storico del mondo di una Nuova Vita; è stato l’annuncio al mondo che la ricostruzione sociale ha qualcosa a che fare con la rigenerazione spirituale; che le nazioni possono essere salvate solo dagli uomini che in esse rinascono a Dio come Dio sta ora nascendo all’uomo. Una volta che Dio è entrato nell’ordine creato a livello dell’umanità ed è entrato a far parte del flusso della storia, ha dato all’uomo una nuova forza dall’alto; gli ha dato un potere divino insieme al potere umano. In una parola, Dio si è fatto Uomo affinché l’uomo diventi simile a Dio.

Ecco perché Cristo è nato Bambino: per insegnarci che la liberazione dai mali economici e sociali si ottiene solo con la nascita. L’umanità era stanca mentalmente ed esausta spiritualmente; per quattromila anni aveva fatto il grande esperimento dell’Umanesimo, e ora era come un malato che non poteva curarsi. Era in uno stato simile al nostro mondo, che fin dai tempi del Rinascimento ha cercato di costruire la sua civiltà sull’autosufficienza dell’uomo senza Dio. L’umanità lasciata a se stessa sprofonda lentamente verso il basso e ritorna al livello di Adamo. La legge del progresso necessario è un mito. Abbiamo prove sufficienti che le persone avanzate nella cultura possono degenerare in selvaggi, come la nostra osannata civiltà del ventesimo secolo è degenerata nella carneficina della Guerra Mondiale; ma non esiste un esempio di una razza di selvaggi che si elevi allo stato civilizzato con il proprio sviluppo. (…)

Ad eccezione di un’assistenza soprannaturale esterna, la società va di male in peggio fino a quando il deterioramento è universale. Non l’evoluzione ma l’involuzione e la decadenza è la legge dell’uomo senza Dio, così come è la legge del girasole senza il sole. L’umanità non può risollevarsi da sola; non esiste la generazione spontanea; la vita non viene dai cristalli; la poesia non viene dagli asini; la pace internazionale non viene dalle guerre; la giustizia sociale non viene dall’egoismo. Con tutta la nostra conoscenza della chimica non possiamo fare una vita umana nei nostri laboratori perché ci manca il principio unificante e vivificante di un’anima che viene solo da Dio. La vita non è una spinta dal basso, è un dono dall’alto. Non è il risultato della necessaria ascesa dell’uomo, ma la discesa amorosa di Dio. Non è il termine del Progresso; è il frutto dell’Incarnazione.

Quindi, come quel mondo in cui è nato Cristo, il mondo di oggi non ha bisogno di un rimescolamento di vecchie idee, non di un nuovo sistema economico, non di un nuovo sistema monetario: ha bisogno di una Nuova Nascita. Ha bisogno dell’intrusione nel nostro ordine di una nuova vita e di un nuovo spirito, che solo Dio può dare. Non possiamo darci questa Nuova Nascita più di quanto non possiamo rinascere naturalmente. Se vogliamo rinascere nella novità della vita il principio rigenerante deve venire dall’alto, e questo è proprio il significato dell’Incarnazione: l’introduzione nel mondo a livello della natura umana della Vita di Dio, che non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo. Ed è per questo che dico che Lui ha risolto i nostri problemi apparendo come un Bambino, perché la rigenerazione della società ha qualcosa a che fare con la Nascita.

Immediatamente voi direte: “Questa non è che teoria; l’Incarnazione del Figlio di Dio è avvenuta 1900 anni fa, e fa parte del passato tanto quanto la battaglia di Waterloo…”

No! L’Incarnazione non è passata. Come può Dio appartenere al passato? L’Incarnazione sta avvenendo proprio ora. Ciò che Dio ha fatto a quella singola natura umana che Egli ha preso da Maria Sua Madre è ciò che Lui vuole fare, in misura minore, ad ogni natura umana del mondo; cioè, renderci partecipi della Sua Vita Divina. Colui che da tutta l’eternità nacque dall’Eterno Padre è nato nel tempo a Betlemme. Egli vuole che noi che siamo nati nel tempo dei nostri padri terreni, rinasciamo nell’Eternità del Padre Celeste e con la Vita Divina diventiamo membri del Regno di Dio. Il Fonte Battesimale è la nuova Betlemme dove gli uomini rinascono di nuovo alla Vita di Dio.

(Fulton J. Sheen, da “The Prodigal world” discorso radiofonico del 1935)

Il mondo vuole abolire la sofferenza. Cristo Crocifisso la vuole trasformare con l’Amore.

Il mondo vuole abolire la sofferenza. Cristo Crocifisso la vuole trasformare con l’Amore, ricordandoci che la sofferenza è frutto del peccato, ed il Sacrificio è frutto dell’Amore, e che non c’è nulla di più nobile del Sacrificio.

(Beato Fulton J. Sheen, da “L’Uomo di Galilea”)

Questo vuol dire essere Cattolici: essere eternamente inquieti ed eternamente in pace! Più profonda è la nostra Fede, più acuta la nostra impazienza di conoscere la pienezza della Luce!

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“Nel mondo avrete tribolazioni; ma confidate in Me, Io ho vinto il mondo” (Giovanni 16,33)

In un certo senso si può rispondere con un paradosso: Cattolico è colui che risente nello stesso momento ciò che può sembrare una contraddizione: inquietudine e pace. Prima l’inquietudine che non è, naturalmente, la falsa inquietudine di coloro che non hanno ancora trovato Dio o che, avendolo trovato, lo hanno riperduto attraverso il peccato. La nostra inquietudine ha una doppia origine: la sublimità dell’ideale e la tensione che ha l’anima e il corpo.

Richiede molto sforzo domare i nostri più bassi istinti tanto da poter mettere in pratica le parole di San Paolo: “I seguaci di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze”.

Abbiamo una tentazione da respingere; abbiamo paura che le Sue Mani ferite tocchino le nostre e vi lascino un’impronta di sangue…

È un fatto psicologico che più noi serviamo il Corpo Mistico di Cristo, maggiore è lo scontento di noi stessi; più ci avviciniamo a Lui, più ci convinciamo di non saper far niente…

Più ci allontaniamo dall’ideale Divino più vantiamo le nostre perfezioni, ma maggiormente ci avviciniamo a Cristo e più distinguiamo le nostre imperfezioni. Questo è il nostro tormento. Nessuno si sente sicuro della propria innocenza di fronte alla Purezza Assoluta, ma tutti chiedono con gli apostoli: “Sono io Signore? Sono io?”.

L’inquietudine e l’irrequietezza hanno una seconda origine nel tremendo contrasto tra anima e corpo, o meglio, nell’insufficienza del corpo a seguire l’anima. Quali uccelli in gabbia abbiamo a volte momenti di grande aspirazione alla vicinanza di Dio, specialmente dopo il Sacramento della Comunione Eucaristica, ma ben presto il nostro corpo ci butta a terra e limita, imprigiona, costringe l’anima.

La parte migliore della poesia romantica è pianto e lamento. Di fronte alla bellezza terrestre il cuore soffre della sua deficienza. Se coloro che amano sulla terra sentono la loro impossibilità ad esprimersi, che cosa sentirà l’anima umana di fronte al “Suo, tra tanti amori che noi sentiamo incompleti?”. E tra uguali può esserci giustizia ma non amore; la identica parità fra i sessi è fatale: il vero dell’amore non sta nell’uguaglianza, ma nell’inferiorità di colui che ama e nella superiorità dell’amato. Chi ama è spinto a inginocchiarsi e chi è amato ad essere messo sul piedistallo, e ogni amante lamenta la sua indegnità.

Eleviamo questo esperimento psicologico all’Infinito Amore, nel momento della maggiore intimità, quando, nel Sacramento della Comunione, riceviamo il Signore dell’Amore e della Vita. È ben giusto che la Chiesa metta allora sulle nostre labbra queste parole: “Oh! Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”. Niente di quanto possiamo dire della nostra anima al Divino Visitatore sembra convogliare il nostro amore. Unito al nostro desiderio insaziabile di maggior amore, sta un senso struggente della nostra adolescenza di fronte all’Eterno. Noi sappiamo di offrire erbacce, quando vorremmo donare rose, sentiamo di essere cenere mentre dovremmo essere carboni ardenti, tendiamo braccia che non raggiungono lo Spirito, mentre dovremmo avere ali per volare all’Eterno. E sopra tutto questo, la tremenda sensazione di non amare abbastanza, di essere morti, freddi, distratti, quando niente ci può rendere soddisfatti se non appartenere all’amato come tralci alla Vite.

Più profonda è la nostra Fede, più acuta la nostra impazienza di conoscere la pienezza della Luce; più viva la speranza, più appassionato il nostro desiderio di essere posseduti; più ardente l’amore, più intenso il desiderio di strappare i veli della carne, che dobbiamo perdere e che ci nascondono, per ora, la Bellezza del Volto che “Lascia ogni altra bellezza oscurata”.

In breve, la nostra inquietudine è quella dell’innamorato che è ancora separato dall’amata. La nostra Anima è quella per la quale Sant’Agostino scrive: “I nostri cuori sono fatti per Te, Signore, e saranno inquieti finché non riposeranno in Te”.

Unita a questa pena, che viene dalla nostra indegnità, sta una pace ineffabile e una gioia indescrivibile. C’è la gioia dell’intelletto di conoscere la Verità di Cristo, continuata attraverso il Suo Corpo Mistico, la Chiesa…

E non c’è solo pace dell’intelletto, c’è anche gioia per il cuore attraverso l’amore del Cuore di Gesù.

Il vero innamorato di Dio non si trattiene dal peccare solo per timore di mancare ad un comandamento, ma perché rifugge dal ferire Cristo-Amore. L’amore ha due necessità: vuol piacere, obbedire, essere in armonia con Dio.
L’amore di Dio fa cambiare tutti i punti di vista del mondo: ci accorgiamo di amare tutti in Lui, perché tutti sono fatti da Lui e per Lui; se il Signore li ama, anch’io li amerò.

Nel dolore la fede ci ricorda che noi siamo nati da una tragedia: la disfatta del Venerdì Santo. Il Crocefisso sulle pareti delle nostre case, sugli altari, ci rammenta la bontà di Dio che, raccogliendo tutti i mali del mondo e offrendoli in Alto, ha vinto il male. Sappiamo che Nostro Signore Gesù non ci disse mai che saremmo stati senza tentazioni, ma affermò che non sarebbero mai state superiori alle nostre forze. Per questo difficilmente vengono stroncati coloro che nel dolore, nelle crisi della vita sono sostenuti da Cristo-Amore.

C’è gioia nell’animo di un credente, anche quando il corpo soffre; ma non c’è mai dolore del corpo che possa affliggere l’animo. Questo vuol dire essere Cattolici: essere eternamente inquieti ed eternamente in pace.

Non c’è contraddizione perché la nostra ansia e la nostra serenità si fondano dolcemente nell’ amore. Siamo inquieti perché non possediamo completamente il Signore; siamo sereni in proporzione di quanto facciamo per essere a Lui uniti. La comune sorgente è l’amore. Perché amiamo l’Infinito, noi ci divincoliamo al guinzaglio del finito; se Egli tocca le estremità delle nostre dita siamo rapiti da un’estasi celeste, perché sappiamo che un giorno Egli ci prenderà la mano. Siamo inquieti perché amiamo troppo poco; siamo in pace perché c’è tanto da amare. Siamo invidiati per la nostra pace felice; siamo disprezzati perché il suo prezzo è la Croce…

La prossima volta che vorrete sapere che cosa significa essere in pace, non chiedetelo a coloro che spargono bugie sul nostro conto; chiedetelo ad uno di coloro che, ogni mattina nella Messa, riceve nel suo cuore, il Cristo che è nostra Verità, nostra Pace, nostra Gioia.

(Beato Fulton J. Sheen, da “The Rock Plunged Into Eternity – Ancore sull’abisso – Radiomessaggio del 12 Febbraio 1950”)

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