-LA MESSA INIZIA CON IL CONFITEOR-PERDONARE NON SIGNIFICA NEGARE LA TERRIBILE REALTÀ DEL PECCATO

LA MESSA INIZIA CON IL CONFITEOR:

«Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»

La Messa ha inizio con il Confiteor, una preghiera in cui confessiamo i nostri peccati e chiediamo alla Beata Madre e ai santi di intercedere presso Dio per la nostra colpevolezza, perché solo i puri di cuore vedranno Dio. Nostro Signore stesso inizia la sua Messa con il Confiteor, ma il suo è diverso dal nostro perché Lui non ha peccati da confessare. È Dio, quindi è senza peccato. «Chi di voi può dimostrare che ho peccato?» (Gv 8,46). Di conseguenza il suo Confiteor non può essere una preghiera per il perdono dei suoi peccati, ma dei nostri.

Altri avrebbero urlato, imprecato, si sarebbero dimenati mentre i chiodi trapassavano loro mani e piedi. Invece, nel cuore del Salvatore non c’è posto per lo spirito di rivalsa, nessuna minaccia di vendetta esce dalle sue labbra verso i suoi assassini, neanche la preghiera di ottenere la forza per sopportare il dolore. L’amore incarnato dimentica l’ingiuria, la sofferenza, e al culmine dell’agonia rivela qualcosa dell’altezza, della profondità e dell’ampiezza dello straordinario amore di Dio, pronunciando il suo Confiteor: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Non ha detto: «Perdonami», ma «Perdona loro».

Il momento della morte era certamente il più propizio per riconoscere i propri peccati, poiché nell’ultimo solenne istante la coscienza afferma la propria autorità; eppure, non esce un gemito di penitenza dalle sue labbra. Egli è stato associato ai peccatori, ma mai al peccato. Nella morte come nella vita non è stato consapevole di un solo dovere incompiuto verso il Padre celeste. E perché? Perché un Uomo senza peccato non è un uomo, è più di un semplice uomo. Egli è senza peccato perché è Dio, ecco la differenza. Noi leviamo la nostra preghiera dall’abisso della consapevolezza di peccare: Egli innalza il suo silenzio dalla propria, intrinseca, assenza di peccato. Quella sola parola, «perdona», testimonia che Lui è il Figlio di Dio.

NON C’È POSSIBILITÀ DI SALVEZZA PER GLI ANGELI CADUTI MA PER NOI È DIVERSO

Si noti il motivo per cui Gesù Nostro Signore chiede al Padre celeste di perdonarci, «perché non sanno quello che fanno». Quando qualcuno ci offende o ci accusa ingiustamente, diciamo: «Avrebbero dovuto saperlo!». Invece, quando pecchiamo contro Dio, Egli trova nella nostra ignoranza la giustificazione per i nostri peccati.

Non c’è redenzione per gli angeli caduti. Le gocce di sangue versate dalla croce il Venerdì Santo, in quella Messa di Cristo, non hanno toccato lo spirito degli angeli caduti. Perché? Perché erano consapevoli di quanto stavano facendo. Vedevano tutte le conseguenze delle loro azioni, così chiaramente come noi vediamo che due più due fa quattro, o che una cosa non può allo stesso tempo esistere e non esistere. Non si torna indietro una volta colto questo genere di verità, poiché sono irrevocabili ed eterne. Pertanto, decidendo di ribellarsi a Dio onnipotente, hanno preso una decisione senza ritorno. Sapevano ciò che facevano!

Ma nel nostro caso è diverso. Noi non vediamo le conseguenze delle nostre azioni altrettanto chiaramente; siamo deboli, ignoranti. Però, se ci rendessimo conto che ogni peccato di orgoglio ha intrecciato una corona di spine sulla testa di Cristo; se ci rendessimo conto che ogni volta che contraddiciamo la sua divina volontà innalziamo per lui il segno della contraddizione: la croce; se ci rendessimo conto che ogni atto di avarizia ha inchiodato le sue mani e ogni vagabondaggio nei sentieri del peccato ha trafitto i suoi piedi; se ci rendessimo conto della bontà di Dio, eppure continuassimo a peccare, non saremmo mai salvati.

Solo la nostra ignoranza dell’infinito amore del Sacro Cuore ci permette di udire il suo Confiteor sulla croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Se queste parole si imprimono profondamente nelle nostre anime, non costituiscono una scusa per i nostri continui peccati, ma un motivo di contrizione e di penitenza.

PERDONARE NON SIGNIFICA NEGARE LA TERRIBILE REALTÀ DEL PECCATO

Perdonare non significa negare il peccato. Nostro Signore non nega la terribile realtà del peccato, ed è qui che il mondo moderno si inganna, cercando di spiegarlo: lo ascrive a qualche errore nel processo di evoluzione, a un residuo di antichi tabù, lo identifica in termini psicologici. In una parola, il mondo moderno nega il peccato. Nostro Signore ci ricorda che è la realtà più tremenda. Altrimenti, perché crocifiggere Colui che è senza peccato? Perché spargere sangue innocente? (…)

Ecco, Colui che ha amato gli uomini fino alla morte ha permesso al peccato di vendicarsi su di Sé, affinché potessero coglierne per sempre l’orrore nella crocifissione di Colui che li ha amati a tal punto: qui non c’è la negazione del peccato, eppure, tra tanto orrore, la Vittima perdona. Nello stesso, unico evento c’è il segno della totale depravazione del peccato e il sigillo del perdono divino.

Da quel momento in poi, nessun uomo potrà guardare un crocifisso e affermare che il peccato non è qualcosa di grave, né dire che non può essere perdonato. Nella sua sofferenza, Egli ha rivelato la realtà del peccato; nella sopportazione, ha mostrato la sua misericordia verso il peccatore. A perdonare è la stessa Vittima che ha sofferto: e in quella combinazione di una Vittima così umanamente splendida, così divinamente amante, così completamente innocente, si riscontrano un crimine enorme e un perdono ancora più grande.

Al riparo del Sangue di Cristo c’è posto per il peggior peccatore; poiché in quel Sangue c’è un potere in grado di arginare le ondate della vendetta che minacciano di abbattersi sul mondo.

DIO PUÒ PERDONARE ATTRAVERSO ALTRI UOMINI

«A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati»

Il mondo vi spiegherà il peccato, ma solo sul Calvario farete esperienza della divina contraddizione del peccato perdonato. Sulla croce il supremo dono di sé e l’amore divino trasformano il peggiore dei peccati nell’azione più nobile e nella preghiera più tenera mai viste sulla terra, il Confiteor di Cristo: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Questa parola «perdono» che quel giorno risuonava dalla croce, quando il peccato emergeva in tutta la sua violenza per poi abbattersi sconfitto dall’amore, non morirà con la sua eco.

Non molto tempo dopo, quello stesso Salvatore misericordioso aveva offerto il mezzo per prolungare il perdono nel tempo e nello spazio, fino alla fine del mondo. Radunando intorno a sé il nucleo della sua Chiesa, disse agli apostoli: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati» (Gv 20,23). Ovunque oggi nel mondo i successori degli apostoli hanno il potere di perdonare. Non dobbiamo chiedere come possa un uomo perdonare i peccati. Infatti, un uomo non può, ma Dio può farlo attraverso l’uomo: non è forse così che Dio ha perdonato i propri carnefici sulla croce, servendosi della sua natura umana? Non è ragionevole allora aspettarsi che Lui continui a perdonare i peccati attraverso altre nature umane cui ha conferito questo potere? E dove troviamo queste nature umane?

Conoscete la storia della scatola ignorata a lungo e persino disprezzata come cosa di scarso valore; un giorno fu aperta e scoprirono che conteneva l’enorme cuore di un gigante. In ogni chiesa cattolica c’è quella scatola. La chiamiamo confessionale. È ignorata o disprezzata da molti, ma vi si trova il Sacro Cuore di Cristo che perdona i peccatori per mezzo delle mani tese dei suoi sacerdoti, come Lui stesso una volta ha perdonato con le sue mani stese sulla croce.

Esiste un solo perdono, il perdono di Dio. Esiste un solo atto di perdono, quello eternamente divino con cui veniamo in contatto in ogni tempo. Come l’etere è sempre colmato da musica e parole, ma non le udiamo se non sintonizziamo la radio, così le anime non percepiscono la gioia di quell’eterno e divino perdono se non si sintonizzano con esso nel tempo; il confessionale è il luogo in cui possiamo sintonizzarci con quel grido lanciato dalla croce.

Piacesse a Dio che la nostra mentalità moderna, invece di negare la colpa, la riconoscesse guardando alla croce e chiedendo perdono; che quanti hanno la coscienza inquieta, che li spaventa di giorno e li perseguita di notte, non cercassero sollievo nella medicina ma nella giustizia divina; che quanti confessano gli oscuri segreti della loro mente non lo facessero per esaltarli ma per purificarli; che le lacrime versate nel silenzio da poveri mortali venissero asciugate da una mano che assolve. Avverrà sempre che la più grande tragedia della vita non sia ciò che accade alle anime, ma ciò che perdono. E quale tragedia più grande che perdere la pace del perdono dei peccati?

Il Confiteor ai piedi dell’altare è il grido della nostra indegnità, il Confiteor sulla croce è la nostra speranza di perdono e assoluzione. Le piaghe del Salvatore erano terribili, ma la piaga peggiore di tutte sarebbe dimenticare che siamo stati noi a causarle. Il Confiteor ci può salvare da questo, poiché è l’ammissione che abbiamo qualcosa di cui essere perdonati e molto più di quanto riconosciamo. Si racconta di una suora che un giorno spolverava un’immagine di Nostro Signore nella cappella. Durante il suo lavoro la fece cadere a terra. La raccolse intatta, le diede un bacio e la rimise al suo posto, dicendo: «Se non fossi caduto, non lo avresti ricevuto». Mi meraviglierei se Nostro Signore non provasse lo stesso per noi, poiché se non avessimo mai peccato, non avremmo mai potuto chiamarlo Salvatore.

(Fulton J. Sheen, da “Il Calvario e la Messa”, opera all’interno del libro “Signore, insegnaci a pregare” edizioni Ares)

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