
Segnaliamo la ristampa, da parte di Fede e Cultura, di un capolavoro di Fulton Sheen “Vita di Cristo”. Qui sotto potete leggere la prefazione e i primi due capitoli. Il link per acquistare il libro sul sito della casa editrice: https://shop.fedecultura.com/Vita-di-Cristo-p480690006
PREFAZIONE
Accade che Satana appaia, variamente camuffato, simile a Cristo. Alla fine del mondo, apparirà come un benefattore, un filantropo: tuttavia, con le stimmate non è mai apparso e non apparirà mai. Solo l’amore celeste può mostrare le cicatrici del supremo dono d’amore fatto in una notte ormai per sempre trascorsa. Non ci sono, in realtà, che due concezioni di vita: l’una è “prima il banchetto e poi il mal di capo”; l’altra, “prima il digiuno e poi il banchetto”. Le gioie differite e acquistate a prezzo di sacrificio sono sempre le più dolci e le più durature. Gli antichi insegnavano che qualunque prosperità o fortuna di cui questo o quell’uomo godesse senza avere sofferto era sgradita agli dèi! Lucrezio narra di un re egiziano che ruppe ogni rapporto con l’amico Policrate, tiranno di Samo, perché la sua prosperità era priva di imperfezioni, di “quel che di amaro scaturisce in mezzo alla fonte della dolcezza”. Il cristianesimo, diversamente da qualsiasi altra religione, inizia con la catastrofe, con la sconfitta. Le religioni radiose e le ispirazioni di natura psicologica terminano nella calamità e si inaridiscono nell’avversità; la vita del fondatore del cristianesimo, invece, essendo cominciata con la croce, termina con il sepolcro vuoto e la vittoria. La vita di Cristo differisce da tutte le altre vite sotto molti aspetti; tre i principali:
1) La croce ne concluse la vita nel tempo, ma ne era stata all’origine in quanto intento e scopo della sua venuta. Ecco perché i suoi biografi, martirizzati quando testimoniavano la verità da loro scritta, hanno dedicato la terza parte di ciascuno dei primi tre Vangeli e la quarta parte del quarto Vangelo agli eventi della sua passione e risurrezione.
2) Come l’uomo non è derivato interamente dalla natura, perché in quanto dotato d’intelletto, ha in sé una misteriosa “x” che non è contenuta nei suoi precedenti chimici e biologici, così Cristo non è derivato interamente dall’ordine umano.
3) Il suo legato non è stato un’etica, ossia una collezione di precetti morali, né l’acquisizione della coscienza del peccato sociale perché gli uomini non amano sentir parlare di peccato personale, nonostante il raffronto tra la colpa umana e l’amore demente di Dio, di cui Dio ha pagato lo scotto.
Odiando il peccato e amando i peccatori, condannando il comunismo e amando i comunisti, sprezzando l’eresia e amando gli eretici, riammettendo gli erranti nel tesoro del suo cuore ma non mai l’errore nel tesoro della sua sapienza, perdonando ai peccatori già condannati dalla società ma intollerante di coloro che peccano e non vengono scoperti, ha riservato le sue più tremende esplosioni di sdegno per coloro che sono peccatori e negano il peccato, che sono colpevoli e si limitano a dichiarare di essere affetti da un complesso. Si spiega così come colui che ha pianto in silenzio allo spettacolo dell’afflizione umana e di un sepolcro aperto dia libero corso al torrente del suo dolore nel contemplare la triste sorte, l’inevitabile rovina di tutti coloro che, benché erosi dal cancro, si rifiutano di usare il rimedio da lui acquistato a ben più caro prezzo del sangue degli agnelli e dei manzi. Il mondo moderno, che nega la colpa personale e riconosce soltanto i reati sociali, che non ha posto per il pentimento personale ma solamente per le riforme pubbliche, ha divorziato Cristo dalla sua croce: lo sposo e la sposa sono stati violentemente separati. Ciò che Dio ha congiunto, gli uomini hanno lacerato. Perciò la croce sta a sinistra e Cristo a destra. Tutti hanno atteso nuovi compagni che li prendessero con sé in una specie di seconda unione adultera. Il comunismo si fa avanti e assume la croce svuotata così di significato; la civiltà occidentale post-cristiana sceglie il Cristo senza stimmate. Il comunismo ha scelto la croce in quanto ha restaurato in un mondo egoista un senso di disciplina, di abnegazione, di rinuncia, di duro lavoro, di studio e di dedizione a fini sovrannaturali. La croce senza Cristo equivale al sacrificio senza amore. Il comunismo ha prodotto una società autoritaria, crudele, oppressiva della libertà umana, piena di campi di concentramento, di plotoni d’esecuzione, di “lavaggi dei cervelli”. La civiltà occidentale post-cristiana ha assunto Cristo senza la croce. Un Cristo senza un sacrificio, che riconcili il mondo a Dio, è un predicatore da dozzina, svirilizzato, incolore, metodista, che merita, sì, il favore popolare per quel suo gran Sermone della Montagna, ma anche lo sfavore per ciò che ha detto della propria divinità da una parte, e del divorzio e del giudizio e dell’inferno dall’altra. Questo Cristo sentimentale viene raffazzonato con una quantità di luoghi comuni, sostenuti talvolta da etimologisti accademici, i quali non riescono a scorgere la parola soffermandosi sulla lettera; viene deformato, fuori del riconoscimento personale, dal principio dogmatico per cui tutto ciò che è divino dev’essere necessariamente un mito. Senza la croce, egli non diventa che un tedioso precursore della democrazia, oppure un umanitario che abbia predicato la fratellanza senza lacrime. Ora il problema si pone in questi termini: la croce, che il comunismo regge in pugno, troverà Cristo prima che il Cristo sentimentale del mondo occidentale trovi la croce? Personalmente, crediamo che la Russia troverà Cristo prima che il mondo occidentale congiunga Cristo con la sua croce redentrice. A quanti vogliano leggere una Vita di Cristo rigorosamente cronologica e inquadrata geograficamente, raccomandiamo quella di Giuseppe Ricciotti: La Vita di Cristo. La nostra opera non ha nulla a che vedere con la critica biblica: questa è stata ampiamente trattata da Ricciotti, Grandmaison, Lagrange e altri. Non c’è teoria critica che sopravviva di molto a una generazione. Un Bauer cede il posto a uno Strauss; uno Strauss a un Wellhausen; un Wellhausen a un Hamack e a un Renan; entrambi a uno Scheweitze e a un Loisy. Quando queste ultime teorie esaurirono la loro validità, sopraggiunsero Schmidt, Bultmann, Albertz, Betram e altri. I lettori che abbiano seguito le confutazioni scientifiche e critiche di Bultmann a opera di Leopoly Malevz, René Marlé e altri, sanno che queste stanno già perdendo la loro validità agli occhi degli studiosi della Bibbia. Benché si possa scrivere la Vita di Cristo senza citare nessuno di questi autori e delle menzionate teorie, la loro conoscenza è un requisito indispensabile per scriverla: non c’è stata mai infatti alcuna forma di critica, neppure quella di uno Strauss, che non abbia contribuito ad approfondire il sapere di coloro che devono conoscere i Vangeli sul piano tecnico e critico prima di potere adeguatamente trattare una Vita di Cristo. Delle tante traduzioni della Scrittura, abbiamo adottato quella di Knox, utilizzando soltanto in pochissimi passi la versione di Rheims Douay. Le Case Editrici Burns Oates and Washbourne, Ltd., e Sheed and Word, lnc., ci hanno cortesemente concesso di usare la traduzione di Knox. Il dipinto della scena della crocifissione è dovuto all’arte di Salvador Dalì, e alla sua gentilezza il diritto di riprodurlo. Più numerosi sarebbero stati gli errori dell’autore, senza l’assistenza editoriale donata con animo veramente fraterno dal reverendissimo Monsignor Edward T. O’Meara, dottore in teologia, e dal reverendo Joseph Havey. Vita di Cristo è stato scritto nel corso di molti anni, ma una più approfondita comprensione dell’unità di Cristo con la sua croce si è verificata quando Cristo ha tenuto l’autore, in ore buie e angosciose, vicinissimo alla croce. La dottrina si deve ai libri; la penetrazione di un mistero, alla sofferenza. È nostra speranza che la dolce intimità, originata dalle sofferenze, con il Cristo Crocifisso trapeli da queste pagine, dando così al lettore quella pace che solo Dio può portare alle anime, illuminandolo affinché comprenda che ogni dolore è in realtà l’ “ombra della sua mano carezzevolmente protesa”.
1 LA SOLA PERSONA CHE SIA MAI STATA PREANNUNCIATA
La storia è piena di uomini che hanno asserito di venire da Dio, o di essere Dio, o di recare il messaggio di Dio: Budda, Maometto, Confucio, Cristo, Lao-Tse e tanti altri, fino a colui che oggi stesso ha fondato una nuova religione. Di essi, ciascuno ha il diritto di essere ascoltato e valutato. Come per ogni cosa che si debba misurare occorre un metro esterno, così servono alcune prove permanenti, che siano valide per tutti gli uomini, tutte le civiltà, tutte le epoche, affinché si possa stabilire se alcuni o tutti di coloro che hanno fatto simili affermazioni siano, o meno, nel giusto. Queste prove appartengono a due categorie: alla ragione e alla storia. Alla ragione, perché tutti ne sono dotati, anche quelli che mancano di fede; alla storia, perché tutti, vivendo, ne partecipano, ed è lecito presumere che la conoscano. La ragione ci suggerisce che, dove questo o quell’uomo venisse realmente da Dio, Dio ne avrebbe perlomeno preannunciato l’avvento al fine di convalidarne l’affermazione. I fabbricanti di automobili avvertono la clientela circa l’epoca in cui ci si aspetterà un nuovo modello. Se Dio quindi ci mandasse un messaggero o se egli stesso venisse su questa terra per diffondere un messaggio d’importanza vitale per tutti gli uomini, ci informerebbe sul quando il suo messaggero apparirebbe in mezzo a loro, dove nascerebbe, dove vivrebbe, quale dottrina predicherebbe, quali nemici susciterebbe, quale programma adotterebbe per il futuro, quale morte farebbe. Di modo che, nella misura in cui il messaggero si conformasse a tali annunci, sarebbe possibile giudicare la validità delle sue asserzioni. La ragione, inoltre, ci induce a credere che se Dio non agisse in questo modo, nulla potrebbe impedire che un qualunque impostore si introduca nella storia dicendo: “Provengo da Dio”, oppure: “Un angelo mi è apparso nel deserto e mi ha consegnato questo messaggio”. In questi casi, verrebbe a mancare un mezzo oggettivo, storico, per constatare la veridicità del messaggero, poiché non avremmo che la sua parola, e, pertanto, egli potrebbe essere nel torto. Se un visitatore venisse da un paese straniero a Washington e asserisse di essere un diplomatico, il governo gli chiederebbe il passaporto e altri documenti che provino la sua qualità di rappresentante di questo o quel governo; questi documenti dovrebbero recare una data anteriore al suo arrivo. Se dunque ai delegati dei nostri paesi vengono richieste simili prove d’identità, la ragione deve per certo agire allo stesso modo con i messaggeri che affermano di essere stati inviati da Dio. A ciascuno di questi la ragione domanda: “Che cosa, prima che tu nascessi, stava ad attestare che tu saresti venuto?”. Un simile criterio consente di giudicare il merito degli assertori (In questo stadio preliminare, Cristo non è più grande degli altri). Nessuno predisse la nascita di Socrate; nessuno preannunciò Budda e il suo messaggio, né svelò il giorno in cui egli si sarebbe seduto sotto l’albero; non ci sono stati tramandati né il nome della madre né il luogo di nascita di Confucio; né si può dire che questi dati fossero stati rivelati agli umani secoli prima del suo avvento cosicché quando egli venne al mondo gli uomini potessero riconoscere in lui un messaggero di Dio. Quanto a Cristo, il discorso è diverso: date le profezie dell’Antico Testamento, la sua venuta non era inaspettata. Perché, se mancò qualsiasi predizione relativa a Budda, a Confucio, a Lao-Tse, a Maometto, o a chiunque altro, non mancarono per contro le predizioni relative a Cristo. Gli altri vennero e dissero: “Eccomi, credete in me”. Erano, quindi, solo uomini fra gli uomini, non erano divini fra gli umani. L’unica eccezione fu Cristo, in quanto disse: “Ricercate gli scritti del popolo ebraico e i riferimenti storici dei Babilonesi, dei Persiani, dei Greci e dei Romani” (Per il momento, gli scritti del mondo pagano, e perfino l’Antico Testamento, possono considerarsi solo documenti storici e non già parole ispirate). Le profezie dell’Antico Testamento possono essere comprese nella loro pienezza alla luce del loro compimento. Il linguaggio profetico, infatti, non ha la precisione delle scienze matematiche; ma dove nell’Antico Testamento si ricerchino i ricorsi messianici, e dove si paragoni l’immagine che ne risulta con la vita e le opere di Cristo, si può mai dubitare che le predizioni antiche si riferiscano a Cristo e al regno da lui istituito? La promessa che Dio fece ai patriarchi che per il loro tramite tutti i popoli della terra sarebbero stati benedetti; la predizione che la tribù di Giuda avrebbe avuto su tutte le altre tribù ebraiche la supremazia fino all’avvento di colui al quale tutte le genti avrebbero obbedito; il fatto, certamente strano, ma innegabile, che nella Bibbia dei giudei di Alessandria, cioè nella versione detta dei Settanta, si trovi chiaramente predetta la nascita verginale del messia; la profezia di Isaia relativa all’uomo dei dolori, al servo del Signore, il quale darà la vita in espiazione delle colpe del suo popolo; le prospettive del glorioso ed eterno regno della stirpe di Davide: in chi, se non in Cristo, queste profezie hanno trovato il loro compimento? Da un punto di vista meramente storico, si verifica un’unicità che distingue Cristo da tutti gli altri fondatori di religioni terrene; giacché il compimento di tali profezie si verificò, storicamente, nella persona di Cristo, non soltanto cessarono in Israele tutte le profezie ma si produsse anche la cessazione dei sacrifici dopo il sacrificio del vero agnello pasquale. E si guardi alla testimonianza del mondo pagano. Tacito, parlando degli antichi Romani, dice: “Valeva per i più la convinzione profonda di quanto contenuto negli antichi scritti dei sacerdoti, che proprio in quel tempo l’Oriente avrebbe mostrato la sua forza e uomini venuti dalla Giudea si sarebbero impadroniti del mondo”. E Svetonio, là dove narra la vita di Vespasiano, così riferisce circa la tradizione romana: “Tutto l’Oriente credeva, per antica e costante tradizione, che il destino riservasse il dominio del mondo a gente venuta dalla Giudea a quel tempo”. La Cina nutriva la medesima attesa, ma, poiché si trovava dall’altra parte della terra, credeva che il Grande Saggio sarebbe nato in Occidente. Gli Annali del Celeste Impero contengono la seguente relazione:
“Nell’anno ventiquattresimo di Chengwang della dinastia Zhou, nel giorno ottavo della quarta luna, una luce apparve a sud-ovest, che illuminò il palazzo del re. Colpito da tanto splendore, il monarca interrogò i savi, che gli mostrarono alcuni libri dai quali risultava che quel prodigio doveva venire interpretato come l’apparizione del Gran Santo d’Occidente, la cui religione sarebbe stata introdotta anche nel loro paese”.
Lo aspettavano i greci. Nel Prometeo, composto sei secoli prima che lui nascesse, Eschilo scriveva: “E, inoltre, non aspettarti che questa maledizione abbia fine fino a quando Dio non si manifesti, per addossarsi, in vece tua, tutte le pene conseguenti dai peccati da te commessi”. Come fecero i Magi a sapere della sua venuta? Probabilmente in base alle tante profezie diffuse per il mondo dagli ebrei, nonché in base alla profezia che Daniele alcuni secoli prima della nascita di Cristo aveva fatto ai gentili. Quanto a Cicerone, dopo aver riportato le parole degli antichi oracoli e delle Sibille relativamente a un “Re che dovremo riconoscere se vorremo essere salvati”, si domanda ansioso: “A quale uomo e a quale periodo di tempo alludono queste predizioni?”. La quarta egloga di Virgilio testimonia la stessa antica tradizione e parla di “una donna casta, sorridente al suo bambino, con il quale avrebbe fine l’età del ferro”. Svetonio cita un autore contemporaneo per rilevare che i romani avevano così tanta paura di un re che avrebbe governato il mondo da ordinare che tutti i bambini nati in quell’anno venissero uccisi: ordine che poi non fu emanato se non da Erode. Non soltanto gli ebrei aspettavano la nascita di un gran re, di un savio, di un Salvatore, ma anche Platone e Socrate parlarono del logos e del savio universale “che doveva ancora venire”. Confucio parlò del “santo”; le Sibille, di un “re universale”; i tragici greci, di un Salvatore e redentore che avrebbe liberato l’uomo dalla “primaria remota maledizione”. Tutti costoro aspettavano nel senso dei gentili. Ciò che distingue Cristo da tutti gli uomini prima di tutto è che era atteso: perfino i gentili bramavano un liberatore o redentore. Il che è di per sé sufficiente a differenziarlo da tutti i condottieri religiosi. La seconda distinzione consiste nel fatto che, una volta apparso, con tanta violenza, egli percosse la storia da dividerla in due periodi: il primo, anteriore alla sua venuta; il secondo, posteriore. Budda non fece ciò; né nessun altro dei grandi filosofi indiani. Perfino coloro che negano l’esistenza di Dio devono datare in questo modo gli attacchi che conducono contro di lui: l’anno tale d. C., oppure l’anno tal altro a. C. La terza realtà che lo differenzia da tutti gli altri è questa: chiunque altro sia mai venuto al mondo è venuto per vivere; lui è venuto per morire. Per Socrate, la morte fu una pietra d’inciampo, poiché ne troncò l’insegnamento; mentre per Cristo fu la meta e il compimento della vita, la ricchezza a cui ambiva. Delle sue parole e azioni, poche sono intelligibili dove non si stabilisca un riferimento con la sua croce: egli, infatti, si manifestò come un Salvatore invece che come un semplice maestro. A nulla, infatti, sarebbe servito insegnare agli uomini il modo di essere buoni senza aver concesso loro la facoltà d’essere buoni, dopo averli riscattati dall’amarezza della colpa. La storia di ogni vita umana comincia con la nascita e finisce con la morte. Nella persona di Cristo, invece, venne prima la morte poi la vita. La Scrittura lo descrive come “l’agnello sgozzato fin dalla fondazione del mondo”, poiché, nell’intenzione, egli fu sgozzato dal primo peccato e dalla prima ribellione contro Dio. Non fu la sua nascita a proiettare un’ombra sulla sua vita e a trarlo quindi alla morte; prima in ordine di tempo venne la croce, la quale rimandò la propria ombra sopra la sua nascita. La sua è stata l’unica vita che sia mai stata vissuta a ritroso. Come il fiore nel muro screpolato rivela il poeta della natura, e come l’atomo è la miniatura del sistema solare, così la sua nascita rivela il mistero del patibolo. La sua esistenza si svolse tra i poli di due realtà conosciute, dalla ragione della sua venuta resa palese dal nome di Gesù”, ossia “Salvatore”, al compimento della sua venuta, cioè alla sua morte sulla croce. Di lui, Giovanni ci dà la preistoria eterna; Matteo, la preistoria temporale, attraverso la genealogia. È significativo che la sua stirpe umana sia tanto legata a peccatori e stranieri! Queste macchie sullo scudo del suo lignaggio umano gli ispirano pietà per i peccatori e per quanti siano estranei all’alleanza; ed entrambi questi aspetti della sua compassione gli saranno, in séguito, addebitati come accuse: “È amico dei peccatori”; “un Samaritano”. L’ombra di un passato contaminato predice il suo futuro amore per i contaminati. Nato da una donna, egli fu un uomo e, al tempo stesso, poté essere tutt’uno con l’umanità intera; nato da una Vergine adombrata dallo Spirito e “piena di grazia”, sarebbe stato altresì fuori da quella corrente di peccato che corrompeva tutti gli uomini.
2 INFANZIA DI CRISTO
Un’altra realtà caratterizzante è che, diversamente dagli altri dottrinari, egli rifugge dal classificarsi nella categoria definita dei giusti. I giusti non mentono; se Cristo non fosse stato tutto ciò che diceva di essere, ossia il figlio del Dio di vita, il Verbo di Dio incarnato, non sarebbe stato “proprio un giusto”: sarebbe stato un briccone, un mentitore, un ciarlatano, il più grande ingannatore mai esistito. Se non fosse stato quello che diceva di essere, ossia il Cristo, il figlio di Dio, sarebbe stato l’anticristo! Se fosse stato solamente un uomo, non sarebbe stato neppure un uomo “giusto”. Egli non fu solamente un uomo. Voleva che lo disprezzassimo oppure che lo adorassimo: che lo disprezzassimo come un qualunque uomo, oppure che lo adorassimo come un vero Dio e come un vero uomo. Questa è l’alternativa che ci offre. Può darsi benissimo che i comunisti, così avversi a Cristo, gli siano più vicini di quelli che in lui vedono un sentimentale e un vago riformatore morale. I comunisti, almeno, hanno stabilito che se lui vince loro perdono; mentre gli altri paventano di considerarlo vincitore o perdente, perché non sono preparati a far fronte alle esigenze morali che questa vittoria imporrebbe alle loro anime. Se egli è quello che afferma di essere, cioè un Salvatore, un redentore, abbiamo allora un Cristo virile, un condottiero degno di essere seguito in questi tempi terribili: colui che agevolmente farà breccia nella morte, distruggendo il peccato, la tristezza e la disperazione; un capo cui possiamo far totale sacrificio di noi stessi senza perdere la libertà, sebbene conquistandola, e che possiamo amare fino al giorno della nostra morte. Oggi abbiamo bisogno di un Cristo che, composto con funi un flagello, scacci dai nostri nuovi templi coloro che lì attendono di comprare e vendere; di un Cristo che biasimi gli alberi di fichi sterili; di un Cristo che parli di croci e di sacrifici e la cui voce assomigli alla voce del mare in tempesta, e che, tuttavia, non ci permetta di piluccare e scegliere fra le sue parole, scartandone le difficili e accettando soltanto quelle che compiacciono alla nostra fantasia. Abbiamo bisogno di un Cristo che ristabilisca lo sdegno morale, che ci induca a odiare ardentemente il male e ad amare il bene al punto da poter bere la morte come l’acqua.
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L’ha ripubblicato su Per la maggior gloria di Dio.
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