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ABBRACCIARE LE CROCI DELLA VITA: “Cosa ho fatto per meritarmi questo? Mio Dio, perché devo soffrire?” IL DOLORE SENZA CRISTO È SOFFERENZA, IL DOLORE CON CRISTO È SACRIFICIO

Ci sono molti bravi uomini e donne che si agitano su letti di dolore, i loro corpi consumati dalla lunga malattia, i loro cuori spezzati dalla sofferenza e dal dolore, o le loro menti torturate dalla perdita irreparabile di amici e fortuna. Se queste anime vogliono la pace, devono riconoscere che in questo mondo non esiste una connessione intrinseca tra peccato personale e sofferenza.

Un giorno: “Gesù che passava, vide un uomo, che era cieco dalla sua nascita. E i suoi discepoli gli chiesero: Maestro, chi ha peccato, quest’uomo o i suoi genitori, per esser nato cieco? Gesù rispose: Né quest’uomo ha peccato né i suoi genitori ”(Giovanni 9: 1–3).

Questo ci porta faccia a faccia con la Volontà imperscrutabile di Dio, che non possiamo capire, più che un topo in un pianoforte può capire perché un musicista lo disturba suonando. Le nostre menti meschine non possono capire i misteri di Dio. Ma ci sono due verità fondamentali che tali anime sofferenti non devono mai dimenticare. Altrimenti, non troveranno mai la pace.

Innanzitutto, Dio è amore. Quindi, tutto ciò che fa a me merita la mia gratitudine e dirò grazie. Dio è sempre buono, anche se non mi dà ogni cosa che voglio in questo mondo. Mi dà solo ciò di cui ho bisogno per il prossimo mondo.

I genitori non danno armi ai ragazzi di cinque anni con cui giocare, anche se non c’è quasi nessun ragazzo di cinque anni che non vuole una pistola.

Come diceva Giobbe: “Se abbiamo ricevuto cose buone dalla mano di Dio, perché non dovremmo ricevere il male?” (Giobbe 2:10).

Inoltre, la ricompensa finale per la virtù non arriva in questa vita, ma nella prossima. Poiché gli arazzi non sono tessuti dalla parte anteriore ma da quella posteriore, così anche in questa vita vediamo solo la parte inferiore del piano di Dio.

Uniformiamoci alla volontà di Dio. Così nulla potrà mai accadere contro la nostra volontà perché la nostra volontà è la Volontà di Dio. Questo non è fatalismo, che è sottomissione alla cieca necessità; questa è la pazienza, che è rassegnazione alla volontà dell’Amore Divino, che alla fine non può desiderare altro che l’eterna felicità e la perfezione della persona amata.

La rassegnazione dell’anima paziente è esemplificata dal bambino che dice a suo padre: “Papà, non so perché tu voglia che io vada in ospedale per quell’operazione. Fa male. So solo che mi ami. “

(Fulton J. Sheen, da “The Seven Virtues”)

Abbracciare le croci della vita perché ci sono date dal Cristo-Amore sulla Croce non significa che ognuno di noi raggiungerà mai lo stadio in cui la nostra natura è disposta a soffrire.

Al contrario, la nostra natura si ribella contro la sofferenza perché è contraria alla natura. Ma possiamo accettare in modo soprannaturale ciò che la natura rifiuta, così come la nostra ragione può accettare ciò che i sensi rifiutano. I miei occhi mi dicono che non dovrei lasciare che il dottore incida la pustola marcia, perché farà male. Ma la mia ragione mi dice che i miei sensi devono momentaneamente sottomettersi al dolore per un bene futuro. Quindi, anche noi possiamo essere disposti a sopportare gli inevitabili mali della vita per ragioni soprannaturali.

La prima parola di Cristo sulla Croce suggerisce di farlo per il bene della remissione dei peccati: “Perdona loro”.

Nel mondo degli affari, contraiamo i debiti e riconosciamo il nostro obbligo e dovere di assolverli. Perché dovremmo pensare che nello stesso universo morale possiamo peccare impunemente?

Se, quindi, portiamo le impronte della Croce, invece di lamentarci con Dio, pensiamo di offrirle a Dio per i nostri peccati e per i peccati dei nostri vicini.

Di tutte le assurdità che il nostro mondo moderno ha inventato, nulla supera le parole d’ordine che diamo agli sfortunati o agli ammalati: “Tieni il mento sollevato” o “Dimenticalo”.

Questo non è un conforto, ma una droga! La consolazione è spiegare la sofferenza, non dimenticarla; nel metterla in relazione con l’Amore, non ignorandola; nel renderla un’espiazione per il peccato, non un altro peccato.

Ma chi lo capirà se non guarda una Croce e ama il Cristo Crocifisso?

(Fulton J. Sheen, da “The Seven Virtues”)

È difficile per noi vedere negli incidenti della vita, nelle malattie, nei lutti, nelle perdite finanziarie, nei corpi cancerosi e nelle membra lebbrose, uno Scopo Divino. Ecco perché il Nostro Benedetto Signore ha dovuto prendere su di Sé la sofferenza, per mostrarci che è il Calice del Padre. Ogni lacrima, delusione, e cuore addolorato è un assegno in bianco. Se ci scriviamo sopra il nostro nome, non ha valore. Se lo firmiamo con il nome di Cristo, il suo valore è infinito. Nella prosperità, Cristo ti dà i Suoi doni; nella sofferenza con fede, Cristo ti dona Sé stesso.

(Fulton J. Sheen)

La croce della malattia ha sempre uno scopo divino.

Disse il Nostro Beato Signore: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio: perché il Figlio di Dio sia glorificato da essa” (Giovanni 11:4).

La rassegnazione a questo tipo di croce è una delle forme più alte di preghiera. Sfortunatamente, i malati in genere vogliono fare qualcosa di diverso da ciò che Dio vuole che facciano.

La tragedia di questo mondo non è tanto il dolore che c’è; la tragedia è che tanto di esso è sprecato. Solo quando il buon ladrone è stato nel fuoco di una croce ha cominciato a trovare Dio. È solo nel dolore che alcuni cominciano a scoprire dov’è l’Amore.

(Fulton J. Sheen, da “Seven Words of Jesus and Mary”)

Qual è l’ingrediente in più nella sofferenza – che quando è assente provoca una maledizione, e quando è presente diventa una grazia?

Eccolo:

Dovete unire le vostre sofferenze e i vostri dolori con Cristo e vedere il vostro Calvario come proveniente dalla Mano di Dio.

Nostro Signore vedeva il Calice della Sua Passione come donato a Lui, non da Giuda o Pilato o Caifa o dal popolo, ma da Suo Padre:

“Non berrò il calice che Mio Padre stesso ha preparato per Me?”

Il dolore senza Cristo è sofferenza; il dolore con Cristo è sacrificio.

(Fulton J. Sheen)

L’oggetto della fede è Dio, non le cose della terra. Troppi interpretano la fede come ciò che dovrebbe liberarci dai mali della terra e suppongono che se soffriamo, è perché non abbiamo fede. Questo è del tutto falso!

La fede in Dio non è la garanzia che ci saranno risparmiate le “frecce della fortuna oltraggiosa”.

Nostro Signore non lo è stato. Perché dovremmo esserlo noi?

Erano i Suoi nemici che pensavano che se fosse stato un tutt’uno con Dio, non avrebbe dovuto soffrire, perché quando disse: “Eli, Eli” immaginando che Egli chiamasse Elia, loro sogghignarono: “Vediamo se Elia verrà a liberarlo” (Mt 27,49). Poiché non è stato liberato, conclusero che doveva essere malvagio.

No! Fede non significa essere tirato giù da una croce; significa essere innalzato in Cielo – spesso anche da una croce.

Le uniche volte in cui alcune persone pensano a Dio sono quando sono nei guai, o quando il loro portafoglio è vuoto, o hanno la possibilità di renderlo un po’ più pieno. Si lusingano di avere fede in quei momenti, quando in realtà hanno solo la speranza terrena di una buona fortuna.

La fede è fondata sull’anima e la sua salvezza in Dio, non sugli scogli della terra.

(Fulton J. Sheen, da “The Seven Virtues”)

C’è in ognuno di noi un io-ombra e un io-reale. L’io-ombra cerca solo la propria volontà e il proprio piacere. Più manteniamo il Sole dietro di noi, maggiore è la lunghezza dell’ombra, meno Cristo è nella nostra vita.

Ogni dolore sopportato pazientemente, ogni colpo all’io-ombra, modella il vero io-eterno. Fu la Crocifissione di Nostro Signore che preparò la via per la Sua Risurrezione e Gloria.

Gesù Nostro Signore sta tessendo le tue vesti celesti per le nozze celesti, anche se non lo sai, in momenti che sembrano così privi di amore.

Non puoi vedere interamente il Piano di Dio per te. L’oceano inesplorato è davanti a te, mentre ti lanci nella stretta cabina della tua sofferenza; ma il Divino Pilota ti sta portando in porto.

(Fulton J. Sheen, da “Quaresima e ispirazioni pasquali”)

I nostri lamenti e gemiti attuali stanno creando in noi una maggiore capacità di gioia per l’avvenire. Il Nostro Beato Signore, per rappresentare questo cambiamento della Croce in Gloria, e della sofferenza in gioia, paragona la vita a una madre che mette al mondo un bambino. Il travaglio della mortificazione è il precursore della resurrezione e della gioia.

Notate come il dolore nasce dalla stessa radice della gioia. Le due cose non si scontrano l’una contro l’altra, ma si fondono l’una nell’altra. Le nostre gioie più pure e nobili sono dolori trasformati.

Il dolore di un cuore contrito diventa la gioia del figlio perdonato. Ogni colpo dell’aratro, e ogni oscuro giorno d’inverno, sono rappresentati negli ampi campi che ondeggiano di grano dorato. Nella sofferenza Cristo ti prende nelle Sue Mani come un povero, opaco blocco di marmo, ma con il Suo scalpello Egli modella in te il Suo scopo.

(Fulton J. Sheen, da “Ispirazioni quaresimali e pasquali”)

L’antico orafo raffinava il minerale d’oro grezzo nel suo crogiolo bruciando le scorie nel calore intenso per recuperare l’oro puro. Come l’orafo, Dio ci custodisce nella fornace ardente fino a quando Egli possa vedere il riflesso del Volto del Signore Gesù nelle nostre vite. Non è molto interessato al lavoro che facciamo, ma piuttosto a quanto assomigliamo a Suo Figlio.

(Fulton J. Sheen, da “Ispirazioni di Quaresima e Pasqua”)

Cosa ci insegnano le Stimmate di Cristo?

Ci insegnano che la vita è una lotta: che la nostra condizione di resurrezione finale è esattamente uguale alla Sua; che se non c’è una Croce nella nostra vita, non ci sarà mai una tomba vuota; se non c’è un Venerdì Santo, non ci sarà mai una Domenica di Pasqua; se non c’è una corona di spine, non ci sarà mai un’aureola di luce; e se non soffriamo con Lui, non risorgeremo con Lui.

(Fulton J. Sheen, da “I personaggi della Passione”)

“Perché non possiamo servirci di una croce per diventare simili a Dio?”

Forse che l’uva non dev’essere schiacciata per poter diventare vino, e il grano macinato per poter diventare pane da mangiare? Perché, allora, il dolore non può mutarsi in redenzione? Perché sotto l’azione dell’Amore Divino le croci non possono trasformarsi in crocifissi? Perché i castighi non possono essere considerati penitenze? Perché non possiamo servirci di una croce per diventare simili a Dio?

Non possiamo diventare simili a Cristo per quanto riguarda il Suo Potere: non possiamo diventare simili a Lui per quanto riguarda il Suo Sapere.

C’è un solo modo per diventare simili a Gesù: il modo come Egli portò i Suoi Dolori e la Sua Croce, e cioè con Amore. “Nessuno ha un amore più grande di questo, di dare la vita per i suoi amici.”

È l’amore a rendere sopportabile la sofferenza. Se intendiamo che il dolore giova alla salvezza di altri, o anche alla nostra stessa anima, poiché accresce la Gloria di Dio, lo sopportiamo più facilmente.

Una madre veglia al capezzale del figliuolo ammalato: a questo il mondo dà il nome di “fatica”, e lei il nome di “Amore”. Il dolore è il sacrificio senza amore, il sacrificio è il dolore con l’Amore.

(Fulton J. Sheen, da “Andate in Paradiso!”)

Che cosa potrebbe fare il mondo senza la Santa Messa?

La sofferenza, una volta era il pane di pochi. Oggi è il fardello di tutti. Se non soffrono i corpi, sono straziate le menti agitate dalle ansie, dalla paura, dalle preoccupazioni. Oh! La tragedia di questa sofferenza buttata via, sciupata! Per tanti è divenuta insopportabile, perché tanto pochi sono coloro che sanno amare.

L’Amore non può distruggere la sofferenza, ma la può addolcire, come vi può diminuire il dispiacere di aver smarrito il portafoglio se pensate che possa averlo trovato una povera famiglia affamata, a cui portò la salvezza. Così la nostra sofferenza può divenire luminosa quando noi la offriamo per Qualcuno che amiamo.

Se ogni mattina noi portassimo le nostre piccole croci alla Santa Messa e le piantassimo a fianco della Grande Croce di Gesù sul Calvario, e al momento della Consacrazione dicessimo con Lui: “Questo è il Mio corpo, questo è il Mio sangue” noi scorderemmo i nostri mali nell’estasi del nostro Amore per Gesù Crocifisso.

(Fulton J. Sheen, da “Ancore sull’abisso – Radiomessaggio del 5 Febbraio 1950”)

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Autore: Amici di Fulton Sheen

amicidifultonsheen@gmail.com

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