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“TUTTO È COMPIUTO” L’AMORE NON PUÒ FARE NULLA DI PIÙ GRANDE CHE MORIRE. I VERI CRISTIANI RIMANGONO SULLA CROCE CON GESÙ FINO ALLA FINE!

«Tutto è compiuto». Cosa è compiuto? La redenzione dell’uomo. L’Amore ha portato a compimento la sua missione, perché ha fatto tutto ciò che poteva. L’Amore era in grado di compiere due cose. Per sua natura, l’Amore tende all’incarnazione e ogni incarnazione tende alla crocifissione. Ogni vero amore non tende forse a incarnarsi? Nell’ordine dell’amore umano, l’affetto tra marito e moglie non incarna il loro amore reciproco in un bambino? Una volta che lo hanno generato, non si sacrificano per lui fino alla morte? Dunque, il loro amore tende alla crocifissione.

Ma questo è soltanto un riflesso dell’ordine divino, in cui l’amore di Dio per l’uomo era così profondo e intenso da culminare in una incarnazione, per cui Dio ha assunto l’aspetto dell’uomo che amava. Ma l’amore di Nostro Signore per l’uomo non si è fermato lì. A differenza di ogni altro nato, Nostro Signore è venuto al mondo per redimerlo. La morte era il suo fine supremo. La morte ha interrotto la carriera di grandi uomini, ma così non è stato per il Signore: era la sua corona di gloria, l’unico scopo cui anelava.

La sua incarnazione, dunque, tendeva alla crocifissione perché «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Adesso che ha terminato la sua corsa per la redenzione dell’uomo, quell’Amore divino può dire: «Ho fatto per la mia vigna tutto ciò che potevo» (cfr. Is 5,4). L’Amore non può fare nulla di più grande che morire. (…)

DOBBIAMO VIVERE LA MESSA NELLE NOSTRE VITE

Nostro Signore ha compiuto la sua opera, ma noi non abbiamo compiuto la nostra. Egli ci ha indicato la via da seguire. Lui giaceva sulla croce alla fine, ma noi dobbiamo prenderla. Lui ha compiuto la redenzione nel suo Corpo fisico, ma noi non l’abbiamo completata nel suo Corpo Mistico. Lui ha realizzato la salvezza, ma le nostre anime ancora non vi hanno attinto. Ha edificato il Tempio, ma noi dobbiamo dimorarvi. Ha fatto il modello della croce, a cui noi dobbiamo adeguare le nostre. Ha riempito il calice, ma noi non ci siamo ancora dissetati. Ha seminato il grano, ma dobbiamo ammassarlo nei nostri granai. Ha compiuto il sacrificio del Calvario; noi dobbiamo portare a termine la Messa.

La Sua Crocifissione non era intesa come una tragedia da cui trarre ispirazione, ma come un’azione su cui modellare le nostre vite. Non si tratta di sedersi e guardare la croce come qualcosa che ormai è archiviato, come se fosse la vita di Socrate; al contrario, ciò che è avvenuto sul Calvario ci reca beneficio solo nella misura in cui lo ripetiamo nelle nostre vite. La Messa lo rende possibile, poiché rinnovando il Calvario sui nostri altari, non siamo spettatori, ma partecipiamo alla redenzione ed è lì che «compiamo» la nostra opera. Egli ci ha detto: «Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Lui ha compiuto la sua opera quando è stato innalzato sulla croce, noi compiamo la nostra quando lasciamo che ci attiri a sé nella Messa.

La Messa lo rende visibile agli occhi di tutti, esponendo la croce ai crocevia delle civiltà; essa porta il Calvario così vicino che persino il piede più stanco può incamminarsi verso il suo tenero abbraccio; ogni mano può adesso toccare il suo sacro carico e ogni orecchio può udire il suo dolce appello, perché la Messa e la croce sono la stessa cosa. In entrambe c’è la stessa offerta della volontà del Figlio amato che si consegna perfettamente, lo stesso Corpo lacerato, lo stesso Sangue sparso, lo stesso perdono divino.

Dobbiamo portare con noi tutte le parole e azioni della Messa, per viverle, praticarle e intrecciarle con ogni circostanza e situazione della nostra vita quotidiana. Il suo sacrificio diventa il nostro attraverso l’offerta di noi stessi unita a lui; la sua vita offerta per noi diventa la nostra vita offerta per lui. Allora, torniamo a Messa come chi ha fatto la propria scelta, volgendo le spalle al mondo e diventando altri Cristi per la nostra generazione, come potenti testimoni dell’Amore che è morto perché noi vivessimo con lui.

I VERI CRISTIANI RIMANGONO SULLA CROCE CON GESÙ FINO ALLA FINE

Il nostro mondo è pieno di cattedrali gotiche incompiute, di vite incompiute e di anime crocifisse a metà. Alcuni portano la croce al Calvario per poi abbandonarla; altri vi sono inchiodati ma si staccano un istante prima che venga innalzata; altri si lasciano crocifiggere, ma poi, sfidati dal mondo che grida: «Vieni giù», scendono dopo un’ora, due ore, o due ore e 59 minuti. I veri cristiani perseverano fino alla fine. Nostro Signore vi è rimasto fino che fosse tutto compiuto. Il sacerdote, allo stesso modo, rimane all’altare fino alla fine della Messa, non può scendere giù. Così noi dobbiamo stare con la croce fino alla fine della nostra vita.

Cristo sulla croce è il modello di una vita compiuta. La nostra natura umana è la materia prima, la nostra volontà è lo scalpello, la grazia di Dio è la forza e l’ispirazione. Sbozzando la nostra natura incompiuta, dapprima eliminiamo i pezzi più grossi dell’egoismo. Poi, con tocco più delicato, togliamo i pezzi più piccoli, fino a che un solo pennello è sufficiente a terminare il capolavoro, un uomo compiuto a immagine e somiglianza del modello sulla croce.

Noi siamo sull’altare, simboleggiati nel pane e nel vino; abbiamo offerto noi stessi al Signore ed Egli ci ha consacrato. Allora non dobbiamo tornare indietro, ma restare lì fino alla fine, pregando incessantemente affinché, trascorso il tempo della nostra vita, ripercorrendo un’esistenza vissuta in intimità con la croce, dalle nostre labbra riaffiori l’eco della Sesta Parola di Cristo: «Tutto è compiuto».

(Fulton J. Sheen, da “Il Calvario e la Messa”, opera all’interno del libro “Signore, insegnaci a pregare” edizioni Ares)

Autore: Amici di Fulton Sheen

amicidifultonsheen@gmail.com

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