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SENZA IL DOLORE DEL PECCATO NON È CONCESSO IL PERDONO: “Il sacerdote dà l’assoluzione dai peccati nel sacramento, sempre che ci sia sufficiente dolore dello spirito, o contrizione, vale a dire odio del peccato commesso con la risoluzione di non peccare più”

Gli altri sacramenti richiedono che il soggetto abbia le disposizioni convenienti, ma queste non costituiscono la materia del sacramento. Nella penitenza, il dolore non è solo una condizione, bensì la materia stessa; poiché senza il dolore del peccato, non è concesso il perdono. Il sacerdote dà l’assoluzione dai peccati nel sacramento, sempre che ci sia sufficiente dolore dello spirito, o contrizione, vale a dire odio del peccato commesso con la risoluzione di non peccare più.

La parola contrizione è tratta da un termine latino che significa «macinare» o «polverizzare»; in senso ampio significa avere il cuore affranto. La contrizione è un dolore della mente, non uno sfogo emotivo o un rimorso psicologico. Il figliol prodigo è passato attraverso molti stadi emotivi di rimorso, specialmente quando nutriva i porci o realizzava quanto stessero meglio i servi in casa di suo padre. Ma il vero dolore non è arrivato fino a che non gli entrò nell’anima la risoluzione: «Mi alzerò, andrò da mio padre» (Lc 15, 18). Qualche volta si dice che tutto ciò che un cattolico deve fare è andare a confessarsi e ammettere i propri peccati, e tornerà bianco come la neve per poi tornare a commettere lo stesso peccato. Questa è una caricatura del sacramento, in cui non c’è volontà di emendarsi né dolore. I peccati di un tale penitente non sono perdonati.

Il dolore dei peccati include necessariamente la risoluzione di non peccare più; non è solo un desiderio privo di risvolti pratici. Una parte dell’atto di contrizione contiene questo proposito: «E io sono fermamente risoluto, con l’aiuto della tua grazia, a confessare i miei peccati, fare penitenza ed emendare la mia vita. Amen». Significa che qui e ora prendiamo la decisione di non peccare; decidiamo di prendere tutti i mezzi necessari per evitare il peccato in futuro, come la preghiera e la fuga dalle occasioni. L’assoluzione non sarà efficace se nel dolore non c’è anche questo elemento chiave, la volontà di emendarsi. Ciò non implica la certezza assoluta che nessuno peccherà ancora, perché questo sarebbe presunzione. Ci sono due modi per verificare la saldezza di un proposito: uno è riparare il peccato il più presto possibile; per esempio, se uno è colpevole di sarcasmo contro il prossimo, va a chiedergli perdono oppure, se ha rubato, restituisce il maltolto. Il secondo modo è evitare le occasioni di peccato, come cattive letture, cattive compagnie, gozzoviglie e ogni azione che in precedenza ci ha condotti al peccato.

Ci sono due tipi di contrizione: perfetta e imperfetta. Entrambe sono incluse nell’atto di contrizione che il penitente recita in confessionale: «E io detesto tutti i miei peccati perché temo la perdita del Cielo e le pene dell’inferno» (dolore imperfetto); «ma più di tutto perché essi offendono te, mio Dio, che sei infinitamente buono e degno di tutto il mio amore» (dolore perfetto). Due tipi di timore sono alla base della distinzione tra i due tipi di contrizione o dolore: uno è il timore servile, l’altro è il timore filiale. Un timore servile è la paura della punizione giustamente riservataci dal padrone cui abbiamo disobbedito. Il timore filiale è quello che un figlio devoto prova per l’amato padre; vale a dire il timore di offenderlo. Applicando ciò alla contrizione, il timore servile ci porta verso Dio mossi dalla paura del castigo per i peccati, cioè dell’inferno. Il timore filiale è la paura di essere separati da Dio, o di offendere colui che amiamo.

Immaginiamo due gemelli che hanno disobbedito alla madre esattamente nello stesso modo. Uno dei due corre dalla mamma e le dice: «Oh, mamma, mi dispiace di aver disobbedito. Adesso non posso andare al picnic, vero?». L’altro getta le braccia al collo della madre e piange: «Non ti offenderò più». Il primo ha una contrizione imperfetta, il secondo una contrizione perfetta. Quale genere di contrizione, perfetta o imperfetta, è sufficiente per la Confessione sacramentale? La contrizione imperfetta è sufficiente, benché a nostro avviso la maggior parte dei penitenti non prova dolore tanto per il castigo riservato da Dio ai loro peccati, ma un profondo dispiacere per aver crocifisso di nuovo Cristo nel proprio cuore. Supponiamo, tuttavia, che una persona sia in stato di peccato mortale e non possa andare a confessarsi; per esempio, un soldato cui viene ordinato di combattere. Il dolore imperfetto sarebbe sufficiente per il perdono dei peccati? No, ma la contrizione perfetta lo sarebbe, se egli fosse risoluto a confessarsi appena possibile.

L’atteggiamento consueto dei penitenti consiste nel fare un’equazione personale tra i propri peccati e la crocifissione. Ciascuno dovrebbe dire nel suo cuore, accostandosi al sacramento della confessione: «Se io fossi stato meno orgoglioso, la corona di spine sarebbe stata meno dolorosa. Se fossi stato meno avaro e avido, le sue mani sarebbero state trafitte meno dai chiodi. Se fossi stato meno sensuale, la sua carne non avrebbe penzolato da lui come un cencio rosso. Se non avessi vagabondato come una pecora smarrita, nel mio egoismo perverso, i suoi piedi sarebbero stati meno dilaniati dai chiodi. Non solo mi dispiace di aver violato una legge: sono addolorato per aver ferito colui che è morto d’amore per me».

Nostro Signore doveva morire sulla croce prima che si potesse cogliere l’abisso del peccato. Noi non vediamo l’orrore del peccato nei crimini presentati dalla stampa, né nelle grandi crisi della storia, né nelle violenze di massa dei persecutori. Noi vediamo cos’è il male solo quando vediamo la divinità inchiodata alla croce. Se qualcuno di noi dice nel suo cuore: «Io non sono così cattivo come quelli che lo hanno crocifisso», dimenticherebbe che non sono stati loro a crocifiggere Nostro Signore; è stato il peccato. Essi erano i nostri rappresentanti, i nostri ambasciatori, quel giorno alla corte di satana. Noi li abbiamo rafforzati con il diritto di crocifiggere. Uno sguardo al crocifisso, allora, è una duplice rivelazione! Rivelazione dell’orrore del peccato e dell’amore di Dio.

La peggior cosa che il peccato può provocare non è uccidere bambini o bombardare città nella guerra nucleare; la peggiore è crocifiggere l’Amore divino. E la cosa più bella che l’Amore ha potuto fare, al momento della crocifissione, è stato estendere fino a noi il perdono nella preghiera sacerdotale al suo Padre celeste: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 33). Nella contrizione perfetta veniamo terribilmente colpiti dalla resistenza infinita di Nostro Signore nel sopportare il peggio che il maligno poteva infliggere e, tuttavia, perdonare i propri nemici. Di certo egli non ci insegna a essere indifferenti al peccato, poiché ne ha preso su di sé tutte le conseguenze. Ha pagato per esso, ma d’altro canto la misericordia era insieme alla giustizia. Ha offerto il perdono nella speranza che ci saremmo pentiti per gratitudine verso di lui che ha espiato il debito causato dalla nostra colpa.

(Fulton J. Sheen, da “I 7 Sacramenti” edizioni Ares)

Autore: Amici di Fulton Sheen

amicidifultonsheen@gmail.com

1 commento su “SENZA IL DOLORE DEL PECCATO NON È CONCESSO IL PERDONO: “Il sacerdote dà l’assoluzione dai peccati nel sacramento, sempre che ci sia sufficiente dolore dello spirito, o contrizione, vale a dire odio del peccato commesso con la risoluzione di non peccare più””

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