

L’Offertorio: «In verità, io ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43)
Questo momento della Messa è l’offertorio, poiché Nostro Signore si offre al Padre celeste. Ma per ricordarci che Egli non si offre da solo, ma insieme a noi, Egli unisce al suo offertorio l’anima del ladrone alla sua destra. All’inizio entrambi i ladroni lo insultavano e bestemmiavano, ma uno di loro, che la tradizione chiama Disma, volse la testa scorgendo la mansuetudine e la dignità sul volto del Salvatore crocifisso. Come un carbone gettato nel fuoco diventa luminoso e splendente, così l’anima cupa del ladrone gettata nel fuoco della crocifissione si infiammò d’amore per il Sacro Cuore. «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,39-43).
Tanto dolore e tanta fede non potevano restare senza ricompensa. Nel momento in cui il potere di Roma gli impediva di parlare, mentre i suoi amici pensavano che fosse finito tutto e i suoi nemici credevano di aver vinto, Nostro Signore ruppe il silenzio. L’imputato divenne il Giudice: il Crocifisso divenne il divino Avvocato delle anime. Al ladrone penitente proclamò: «Oggi sarai con me in paradiso». Oggi che hai pronunciato la tua prima e ultima preghiera; oggi stesso sarai insieme a me e il luogo in cui mi trovo è il paradiso. Con queste parole, Nostro Signore, offrendosi al Padre celeste come l’Ostia Magna, unisce a lui sulla patena della croce come le particole offerte nella Messa l’ostia del ladrone penitente, un tizzone raccolto dalle fiamme, un fascio strappato dai mietitori; il grano macinato al mulino della crocifissione è ora reso pane per l’Eucaristia.
Nostro Signore non soffre da solo sulla croce: Egli soffre con noi. Per questo ha unito il sacrificio del ladrone al suo. È ciò che intende San Paolo quando dice che dobbiamo completare quello che manca alle sofferenze di Cristo (Col 1,24). Questo non significa che Nostro Signore sulla croce non abbia sofferto tutto il possibile. Piuttosto indica che il Cristo fisico, storico, ha sofferto tutto ciò che poteva nella sua natura umana, ma che il Cristo mistico, che siamo Cristo e noi, non ha sofferto nella nostra pienezza. Tutti gli altri «buoni ladroni» nella storia del mondo non hanno ancora riconosciuto le proprie colpe e implorato di ricordarsi di loro.
Nostro Signore adesso è in Cielo, pertanto non può più soffrire nella sua natura umana, ma può farlo ancora nella nostra. Egli, dunque, raggiunge altre nature umane, le vostre e la mia, e ci chiede di fare come il ladrone, cioè di unirci a lui sulla croce, affinché condividendo la crocifissione, possiamo anche condividere la sua risurrezione e, resi partecipi della sua croce, possiamo partecipare anche alla sua gloria nei cieli. Come il Signore quel giorno scelse il ladrone come particola del sacrificio, oggi sceglie noi come altrettante particole unite a lui sulla patena dell’altare. (…)
Perché portiamo a Messa il pane e vino oppure l’equivalente? Perché questi due elementi, tra tutti quelli della natura, rappresentano in pieno l’essenza della vita. Il grano è il cuore della terra e l’uva ne è il sangue, ed entrambi ci danno il corpo e il sangue della vita. Portare questi due elementi che ci danno la vita, ci nutrono, equivale a portare noi stessi al sacrificio della Messa. Siamo quindi presenti in ciascuna Messa sotto le specie del pane e del vino, simboli del nostro corpo e del nostro sangue. Non siamo spettatori passivi, come se guardassimo uno spettacolo a teatro, ma offriamo la nostra Messa insieme a Cristo.
Se ci fosse un quadro adeguato a raffigurare il nostro ruolo in questo dramma, sarebbe il seguente. Di fronte a noi c’è una grande croce su cui è stesa l’Ostia Grande, Cristo. Tutt’intorno alla collina del Calvario ci sono le nostre piccole croci su cui noi, le ostie piccole, stiamo per essere offerti. Quando Nostro Signore sale sulla sua croce, noi saliamo sulle nostre e ci offriamo in unione con lui, come oblazione pura all’eterno Padre.
In quel momento compiamo fino in fondo il comando del Salvatore: «Ciascuno prenda la sua croce e mi segua». Nel far questo, non ci chiede di fare qualcosa che non ha già fatto lui stesso. E non è valida la scusa: «Sono un’ostia misera e indegna». Anche il ladrone lo era. Osserviamo due atteggiamenti nell’anima del ladrone ed entrambi lo hanno reso gradito al Signore. Il primo era il riconoscimento di meritare quanto stava soffrendo, mentre l’innocente Cristo non meritava la sua croce: in altre parole, era un penitente. Il secondo era la fede in colui che gli uomini rifiutavano, ma che il ladrone riconobbe come il vero Re dei re.
A quali condizioni possiamo diventare piccole ostie nella Messa? Come può il nostro sacrificio unirsi a quello di Cristo ed essergli gradito come quello del ladrone? Solo imitando nelle nostre anime i due atteggiamenti dell’anima del ladrone: penitenza e fede.
Prima di tutto, dobbiamo farci penitenti insieme al ladrone e dire: «Io merito il castigo per i miei peccati, ho bisogno del sacrificio». Alcuni di noi non si rendono conto di quanto siamo malvagi e ingrati verso Dio. Se lo facessimo, non ci lamenteremmo delle avversità e delle pene della vita. Le nostre coscienze sono come stanze rimaste a lungo prive di luce. Apriamo la tenda ed ecco: tutto ciò che credevamo pulito si rivela polveroso. Ci sono anime così piene di giustificazioni da poter pregare insieme al fariseo: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini» (cfr. Lc 18,11). Altre bestemmiano il Dio dei cieli per i loro dolori e peccati, ma non si pentono.
Per esempio, la Guerra Mondiale era considerata una purificazione dal male; si pensava che ci avrebbe insegnato che non possiamo andare avanti senza Dio, ma il mondo non ha imparato la lezione. Come il ladrone a sinistra, ha rifiutato di pentirsi e nega ogni relazione di giustizia tra il peccato e il sacrificio, la ribellione e la croce. Ma più siamo penitenti, meno saremo ansiosi di fuggire le croci; più vediamo noi stessi così come siamo, più diciamo, insieme al buon ladrone: «Io merito questa croce». Questi non cercava scuse; non chiedeva di giustificare il suo peccato, né che lo si lasciasse andare o lo si staccasse. Desiderava soltanto essere perdonato. Voleva essere una piccola ostia sulla sua piccola croce, proprio perché era un penitente. E non c’è per noi altra strada per diventare piccole ostie unite a Cristo nella Messa, se non spezzare i nostri cuori nel dolore; poiché, se non confessiamo di essere feriti, come potremo sentire il bisogno della guarigione? Se non siamo addolorati per aver partecipato alla crocifissione, come potremo mai chiedere che il nostro peccato sia perdonato?
La seconda condizione per diventare un’ostia nell’offertorio della Messa è la fede. Il ladrone volse il capo verso il Signore e vide un segno che diceva: «Re». Che strano re è mai questo? La sua corona era fatta di spine, la sua porpora regale era il suo sangue, il suo trono una croce, la sua corte i carnefici, la sua incoronazione una crocifissione. Eppure, in mezzo a tutte queste scorie, il ladrone vide l’oro; tra tante bestemmie elevò una preghiera. La sua fede era così salda che era contento di restare sulla croce. Il ladrone a sinistra chiedeva di essere liberato, a differenza di quello a destra. Perché? Perché il buon ladrone era consapevole di un male peggiore della crocifissione e di un’altra vita al di là della croce. Aveva fede nell’Uomo crocifisso al centro, che se avesse voluto sarebbe stato capace di trasformare le spine in ghirlande e i chiodi in boccioli; ma lui aveva fede in un regno oltre la croce, sapendo che le sofferenze di questo mondo non sono paragonabili alle gioie future. La sua anima esclamava, con il salmista: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me» (Sal. 22 [23],4).
Il buon ladrone sapeva che Nostro Signore avrebbe potuto liberarlo, ma non chiese di essere staccato dalla croce, poiché Egli stesso non poteva liberarsi, anche se la folla lo sfidava in tal senso. Il ladrone voleva essere una piccola ostia, se necessario, fino al compimento ultimo della Messa. Ciò non significa che non amasse la vita: egli la amava quanto noi. Desiderava una vita lunga e la trovò, poiché quale vita è più lunga di quella eterna? A tutti e ciascuno di noi, in modo simile, è dato di scoprire quella vita eterna. Ma non c’è altro modo di entrarvi se non con la fede e la penitenza che ci uniscono all’Ostia Grande, Cristo Sacerdote e Vittima. In tal modo diventiamo ladri spirituali e rubiamo il Cielo ancora una volta.
(Fulton J. Sheen, da “Il Calvario e la Messa”, opera all’interno del libro “Signore, insegnaci a pregare” edizioni Ares)
P.S. IL LIBRO È STATO APPENA PUBBLICATO
Per comprare il libro dal sito delle edizioni Ares, clicca qui: https://www.edizioniares.it/detail.asp?id_prod=916