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LA MESSA È IL PIÙ GRANDE EVENTO NELLA STORIA DELL’UMANITÀ, È IL CULMINE DELLA LITURGIA CRISTIANA: “L’unica Azione Santa che trattiene l’ira divina dal mondo peccatore, poiché innalza la croce tra cielo e terra”

L’atto più sublime nella storia di Cristo è stata la sua morte. La morte è sempre importante, poiché sancisce un destino. Ogni uomo che muore cattura l’attenzione. Ogni scena di morte è un luogo sacro. È la ragione per cui la grande letteratura del passato che ha toccato le emozioni che circondano la morte, non è mai passata di moda. Ma di tutte le morti a memoria d’uomo, nessuna è stata più significativa della morte di Cristo. Chiunque altro sia venuto al mondo, è venuto per vivere; Nostro Signore è venuto a morire. La morte ha costituito un ostacolo nella vita di Socrate, ma il coronamento della vita di Cristo. Egli stesso ha detto di essere venuto «per dare la propria vita in riscatto per molti»; che nessuno gli avrebbe tolto la vita, ma Egli stesso la offriva da sé (Mt 20,28; Gv 10,18). Se allora la morte è stata il momento supremo per cui Cristo è vissuto, di conseguenza era l’unica cosa che desiderava venisse ricordata. Non ha chiesto agli uomini di trascrivere le sue parole; non ha chiesto che la sua amabilità verso i poveri venisse ricordata nella storia; invece, ha chiesto agli uomini di ricordare la sua morte. Affinché questa memoria non divenisse un racconto confuso da parte degli uomini, Egli stesso stabilì il modo preciso con cui lo si sarebbe ricordato.

Il memoriale fu istituito nella notte precedente la sua morte, nel corso di quella che, da allora in poi, sarebbe stata chiamata l’ultima cena. Prendendo il pane nelle sue mani, disse: «Questo è il mio Corpo, che sarà consegnato per voi», vale a dire, consegnato alla morte; quindi, sul calice del vino disse: «Questo è il mio Sangue della Nuova Alleanza, che sarà versato per molti per la remissione dei peccati» (cfr. Lc 22,19; Mt 26,28). Pertanto, in un simbolo incruento della divisione del sangue dal corpo, attraverso la consacrazione separata del pane e del vino, Cristo si offrì alla morte in vista di Dio e degli uomini e prefigurò la sua stessa morte che sarebbe avvenuta alle tre del pomeriggio seguente. Egli stava offrendo sé stesso come vittima da immolare e, affinché gli uomini non dimenticassero mai che «nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13), diede alla Chiesa il comando divino: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). Il giorno seguente, dopo averlo prefigurato e predetto, lo portò a compimento, quando venne crocifisso tra due ladroni e il suo Sangue scorreva via dal suo Corpo per la redenzione del mondo. La Chiesa fondata da Cristo non solo ne ha preservato le parole e i miracoli, ma lo ha preso sul serio quando ha detto: «Fate questo in memoria di me». E quell’azione con cui ripresentiamo la sua morte sulla croce è il sacrificio della Messa, in cui compiamo come memoriale ciò che Egli stesso ha fatto nell’Ultima Cena prefigurando la sua passione.

Di conseguenza la Messa è il culmine della liturgia cristiana. Un pulpito da cui si ripetono le stesse parole di Nostro Signore non è in grado di unirci a Lui; un coro dai cui inni traspaiano i sentimenti più dolci, non è in grado di portarci più vicino alla croce che alle sue vesti. Tra i popoli primitivi non esisteva un tempio senza un altare del sacrificio e sarebbe assurdo tra i cristiani. Così, nella Chiesa cattolica, il centro del culto è l’altare, non il pulpito o il coro o l’organo, perché lì ha luogo nuovamente il memoriale della sua passione. Il suo valore non dipende da chi parla o da chi ascolta, ma solo da colui che è l’unico Sommo Sacerdote e Vittima, Gesù Cristo Nostro Signore. Veniamo uniti a Lui, nonostante il nostro nulla; in un certo senso, in quel momento perdiamo la nostra individualità, unendo il nostro intelletto, la nostra volontà, il nostro cuore, la nostra anima, il nostro corpo e il nostro sangue così intimamente a Cristo che il Padre celeste non vede tanto noi, con le nostre imperfezioni, ma vede noi in Lui, l’amato Figlio in cui si è compiaciuto.

La Messa, per questa ragione, è il più grande evento nella storia dell’umanità, l’unica Azione Santa che trattiene l’ira divina dal mondo peccatore, poiché innalza la croce tra cielo e terra, rinnovando quell’istante decisivo in cui la nostra triste e tragica umanità è andata incontro improvvisamente alla pienezza della vita soprannaturale.

A questo punto è essenziale assumere la giusta attitudine mentale verso la Messa e ricordare questo fatto decisivo: il sacrificio della croce non è qualcosa che è accaduto secoli fa. Accade ancora oggi. Non si tratta di un evento passato, come la firma della Dichiarazione di Indipendenza; è un dramma tuttora in corso, su cui non è ancora calato il sipario. Non crediamo che sia accaduto molto tempo fa e pertanto non ci riguardi più di qualsiasi altro evento passato. Il Calvario appartiene a ogni tempo e a ogni luogo. È per questo che, quando Nostro Signore è salito fino in cima al Calvario, opportunamente è stato spogliato delle sue vesti: voleva salvare il mondo senza lasciarsi racchiudere in un mondo passato. Le sue vesti appartenevano al tempo e lo avrebbero identificato stabilmente come un abitante della Galilea. Adesso che ne era privo e totalmente spogliato di ogni cosa terrena, non apparteneva alla Galilea, né a una provincia romana, ma al mondo. Divenne il povero universale del mondo, che non apparteneva a un solo popolo ma al mondo intero. Per esprimere ulteriormente l’universalità della redenzione, la croce fu eretta a un crocevia di civiltà, all’incrocio fra le tre grandi culture di Gerusalemme, Roma e Atene, in nome delle quali fu crocifisso.

La croce fu quindi piantata sotto gli occhi degli uomini, per attrarre i distratti, richiamare gli indifferenti, risvegliare i mondani. Era il solo fatto incontrovertibile a cui le culture e civiltà del suo tempo non potevano resistere. È anche l’unico fatto incontrovertibile del nostro tempo, a cui a nostra volta non possiamo resistere. I personaggi della croce simboleggiavano tutti i crocifissori. In loro eravamo rappresentati noi stessi. Ciò che noi ora facciamo al Corpo Mistico, lo stavano compiendo loro a nostro nome verso il Cristo storico. Se siamo invidiosi del bene, eravamo lì negli scribi e nei farisei. Se ci spaventa la perdita di qualche vantaggio temporale accogliendo la Verità e l’Amore di Dio, eravamo lì in Pilato. Se confidiamo nelle forze materiali, e cerchiamo di affermarci attraverso il mondo invece che attraverso lo spirito, eravamo lì in Erode. E così la storia procede per i singoli peccati del mondo, che ci rendono ciechi dinanzi al fatto che Lui è Dio. C’era pertanto una sorta di inevitabilità riguardo alla crocifissione. Uomini liberi di peccare erano altrettanto liberi di crocifiggere. Da quanto esiste il peccato nel mondo la crocifissione è una realtà. Come ha scritto la poetessa Rachel A. Taylor:

Ho visto passare il figlio dell’uomo Incoronato da una corona di spine «Non era tutto finito, Signore», gli dissi, «E tutta l’angoscia ormai sostenuta?». Egli volse a me il suo sguardo impressionante: «Non hai compreso? Ogni anima è un Calvario e ogni peccato un crocifisso»

Allora eravamo lì, durante quella crocifissione. Il dramma era già compiuto per quel che riguarda la visione di Cristo, ma non era ancora stato dispiegato davanti agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. Se la bobina di un film, per esempio, avesse consapevolezza di sé, conoscerebbe il dramma dall’inizio alla fine, mentre gli spettatori al cinema ne sarebbero ignari fino alla fine della proiezione. Analogamente, Nostro Signore sulla croce vide nella sua mente eterna l’intero dramma della storia, la storia di ogni singola anima individuale e il modo in cui più tardi avrebbe reagito alla sua crocifissione; ma se Egli vide tutto, noi invece non possiamo sapere come reagiremo alla croce finché non saremo proiettati sullo schermo del tempo. Non eravamo consapevoli di essere presenti quel giorno sul Calvario, ma Egli era consapevole della nostra presenza. Oggi conosciamo il ruolo che interpretiamo sulla scena del Calvario, attraverso il modo in cui viviamo e operiamo ora sulla scena del mondo. Per questo il Calvario è attuale, per questo la croce ci mette in crisi, perché in un certo senso le cicatrici sono ancora aperte, perché il dolore è ancora divinizzato e perché il sangue che cade come stelle ancora si riversa sulle nostre anime. Non c’è via di scampo dalla croce, neanche negandola come hanno fatto i farisei; né vendendo Cristo, come Giuda; né crocifiggendolo, come i carnefici. Lo vediamo tutti, sia che la abbracciamo per la salvezza, sia che fuggiamo da essa verso la miseria.

Ma in che modo è resa visibile? Dove troveremo il Calvario perpetuato? Troveremo il Calvario rinnovato, ri-attuato, ri-presentato, come abbiamo visto, nella Messa. Il Calvario è una cosa sola con la Messa, e la Messa è una cosa sola con il Calvario, perché in entrambi c’è lo stesso Sacerdote e Vittima. Le Sette Ultime Parole sono come le sette parti della Messa. E proprio come le sette note della musica permettono un’infinita varietà di armonie e combinazioni, così anche sulla croce ci sono sette note divine che Cristo morente ha fatto risuonare nei secoli, ciascuna delle quali concorre a formare la meravigliosa armonia della redenzione del mondo. Ogni parola è una parte della Messa. La prima, «Perdonali», è il Confiteor; la seconda, «Oggi sarai con me in paradiso», è l’Offertorio; la terza, «Ecco tua Madre», è il Sanctus; la quarta, «Perché mi hai abbandonato?», è la Consacrazione; la quinta, «Ho sete», è la Comunione; la sesta, «È compiuto», è l’Ite missa est; la settima, «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», è l’ultimo Vangelo.

Immagina, dunque, Cristo Sommo Sacerdote che lascia la sacrestia del Cielo per l’altare del Calvario. Ha già indossato i paramenti della nostra natura umana, il manipolo della nostra sofferenza, la stola del sacerdozio, la casula della croce. Il Calvario è la sua cattedrale; la roccia del Calvario è la pietra dell’altare; il sole che volge al rosso è la lampada del santuario; Maria e Giovanni sono gli altari laterali viventi; l’ostia è il suo Corpo; il vino è il suo Sangue. Egli è innalzato come Sacerdote, prostrato come Vittima. La sua Messa sta per iniziare.

(Fulton J. Sheen, dal prologo di “Il Calvario e la Messa”, opera all’interno del libro “Signore, insegnaci a pregare” edizioni Ares)

Per la recensione di questa nuova antologia pubblicata dalle edizioni Ares clicca qui: https://amicidifultonsheen.wordpress.com/2021/05/21/un-nuovo-e-imperdibile-libro-di-fulton-sheen-signore-insegnaci-a-pregare/

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IN QUESTO VIDEO, CON I SOTTOTITOLI IN ITALIANO, FULTON SHEEN CI SPIEGA IL SIGNIFICATO DELLA SANTA MESSA:

Autore: Amici di Fulton Sheen

amicidifultonsheen@gmail.com

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