

Il paradosso dell’amore è che il cuore umano, esigendo un amore estatico ed eterno, può anche raggiungere un momento in cui abbia avuto un eccesso di amore e non desideri più di essere amato. Francis Thompson racconta in una sua poesia come egli sollevasse un bimbo da terra e lo tenesse tra le sue braccia, e come quello, piangendo e sferrando calci, volesse essere rimesso a terra. Riflettendovi, il poeta si domandava se analogamente non agissero molte anime al cospetto di Dio. Esse non sono sempre disposte a lasciarsi amare da Lui!
Certamente nell’ordine umano può venire un momento in cui si manifesti un conflitto tra il desiderio e il non-desiderio d’amore. Che cos’è mai questa misteriosa alchimia nel cuore dell’uomo che lo fa oscillare tra il rammarico di non essere amato abbastanza e il fastidio d’essere amato troppo? Dilaniato tra la brama e la sazietà, tra l’appetito e il disgusto, tra il desiderio e la soddisfazione, il cuore umano si chiede: “Perché devo essere così?”. Quando giunge la sazietà, il Tu sparisce, nel senso che non è più desiderato, ma quando il desiderio ricompare allora il Tu diviene una necessità. Dopotutto, sappiamo fin troppo bene che quando siamo troppo amati si diventa scontenti, e quando lo siamo troppo poco si avverte quell’insopportabile senso di vuoto interiore.
La spiegazione di questa tensione è evidente: il cuore dell’uomo è stato creato per il sacro cuore di un Dio d’amore, e, per questa ragione ontologica ineludibile, solo Dio può soddisfarlo. Il cuore ha ragione di desiderare l’infinito, ma ha torto quando di un compagno finito pretende di fare il sostituto dell’infinito. La soluzione di una tale tensione sta nel considerare le delusioni che essa comporta come altrettanti ammonimenti che ci ricordino come noi non siamo che i pellegrini dell’Amore.
Alla luce di Dio invece, tanto l’essere troppo amati quanto l’essere amati troppo poco assumono un tratto comune. Quando infatti la brama di un amore infinito viene riconosciuta come il desiderio di Dio, allora il finito di ogni amore terreno ci apparirà come un ammonimento destinato a ricordarci il sospiro di Sant’Agostino: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”.
Il contrasto tra ciò che è immediato e ciò che è interiore svanisce, poiché lo stesso godimento procurato dall’immediatezza della carne si tramuta in occasione di gioia nell’intimità dell’anima, la quale sa di usarla per un fine divino e per la salvezza di entrambe le anime. Così, quando gli istinti vengono integrati con lo spirito e servono gli ideali dello spirito, si raggiunge la sintesi della vita. (…)
Quegli stessi che negano l’esistenza dell’acqua sono sempre assetati, e quelli che negano l’esistenza di Dio manifestano pur sempre il bisogno che hanno di Lui, un bisogno che si rivela nella loro brama di bellezza, di amore, di pace ma che risiedono soltanto in Lui. L’uomo ha i piedi nel fango della terra e le ali nei cieli. Ha delle sensazioni al pari delle bestie e delle idee al pari degli angeli, senza essere per questo né pura bestia né puro spirito. Egli è un misterioso composto di anima e di corpo, per cui il suo corpo appartiene a un’anima e la sua anima è incompleta senza il corpo.
L’ordine vero sta nella subordinazione del corpo all’anima e dell’intera personalità a Dio. “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 3,22-23). L’uomo è il pontefice dell’universo, il “costruttore del ponte” tra la materia e lo spirito, sospeso tra una base sulla terra e una nel cielo. Ma è anche, e fondamentalmente, un essere in tensione, pervaso dallo stesso genere di ansietà che prova un marinaio arrampicato a metà dell’albero maestro durante una tempesta. Il suo dovere lo invita a salire anche più in alto, ma la sua natura terrena lo trattiene dall’ascesa per paura della caduta.
Nessuna azione dell’uomo può dirsi, in tutti i suoi aspetti, completamente animale o completamente spirituale. Sebbene possa concepire pensieri di ordine spirituale, come “la fortezza,” pure la materia grezza di un tale pensiero deve provenirgli dai sensi. Il mangiare e l’accoppiarsi non implicano soltanto una deliberata volontà dello spirito, ma anche una soddisfazione, una delizia che è al contempo corporale e spirituale. Dormire è certamente un atto umano, comune anche alla maggior parte degli animali, ma la volontà di dormire è propria soltanto dell’uomo.
Non c’è un solo errore nella storia che non sia un capovolgimento di questa misteriosa unità corpo-anima. Alcuni considerarono il corpo impuro, come per esempio i Manichei; altri, come Freud e Nietzsche, hanno considerato l’anima un parassita o un mito. Ognuno deve decidere da sé come risolvere questo contrasto fra due opposti. Ci sono due sole risposte possibili, di cui l’una consiste nel dare la supremazia al corpo, nel qual caso l’anima soffre; l’altra nel dare la supremazia all’anima, nel qual caso il corpo viene disciplinato. La risposta cristiana a questa polarità è inconfondibile: “Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?” (Mt 16,26). “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo” (Mt 10, 28). (…)
Questa tensione ontologica insita nell’uomo composto di polvere e di soffio di vita, è stata accentuata fino al disordine dal peccato originale, ed è la ragione principale per cui l’uomo è soggetto alle tentazioni. “La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne” (Gal 5,17). “Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26,41). La parola “tentazione” non è mai applicata alla disciplina che l’anima esercita sul corpo, bensì alla schiavitù con cui il corpo soggioga l’anima. Nessuno dice: “Fui tentato di lasciarlo vivere”, ma si dice: “Fui tentato di ucciderlo”.
Il governo dell’anima è ordine, poiché qui il più basso è soggetto al più elevato, come le piante sono soggette agli animali e gli animali all’uomo. Il concedere il primato alla sensazione anziché all’intelletto è una discesa, un allentamento dei legami, una “caduta”. Ciò non significa che l’esperienza sensibile sia in se stessa una “tentazione”, ma che lo è solo quando è goduta a spese dell’anima. Il piacere di vedere un tramonto non è ostile allo spirito, ma l’esperienza sensibile dell’ubriachezza è avversa allo spirito. Nel primo caso la ragione trascende il corpo e sospinge l’anima a rendere gloria a Dio per la sua creazione. Nel secondo caso, invece, il corpo si comporta come un vampiro nei confronti dello spirito turbando la sua pace, la quale deriva, e non potrebbe essere altrimenti, dal rispetto e l’osservanza dell’ordine cosmico, che è il rapporto originario corpo-anima-Dio. (…)
A causa di questa tensione vibrante negli esseri umani tra il corpo e l’anima, cioè tra l’elemento animale e quello spirituale, è possibile comprendere l’amore in uno dei due seguenti modi: come supremazia del corpo o come supremazia dell’anima. Nel primo caso l’amore è carnale e identificabile con ciò che il mondo moderno chiama sesso, mentre nel secondo l’amore è allo stesso tempo spirituale e fisico.
I grandi filosofi hanno chiamato il primo l’amore di concupiscenza, ovvero primato di quanto è inteso dai sensi, e il secondo l’amore di benevolenza, ovvero l’amore per il bene di un altro. Anche i greci avevano i loro termini per distinguere questi due tipi di amore. Utilizzavano perciò la parola Eros per indicare un desiderio appassionato e prepotente di possedere e godere gli affetti di un altro, mentre dicevano Agape l’amore fondato sul rispetto per la personalità, in quanto il suo diletto risiede nel promuovere l’altrui benessere. La sua gioia è la contemplazione piuttosto che il possesso. Ciò non significa che l’uno sia buono e l’altro cattivo, ma entrambi i due amori sono giusti quando ben compresi. Infatti, il comandamento divino di amare il prossimo come se stessi implica un legittimo amore di se stessi. Qui come altrove bisogna essere in “tre” per poter amare. Dopo tutto sia l’amore di sé che l’amore del prossimo richiedono anzitutto l’amore di Dio.
La libido della psicologia moderna è Eros, o amore carnale, divorziato da Agape, o amore personale, in quanto concedendo la supremazia al corpo si nega l’anima e si afferma l’ego in opposizione a Dio. Fu questo tipo di amore che San Paolo condannò quando disse: “Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio” (Rm 8,7). Il sesso com’è inteso ai nostri giorni è amore-Eros slegato da ogni responsabilità, è un desiderio senza obblighi. E siccome è un desiderio illegittimo, è anche un desiderio senza Dio, ecco perché l’erotismo e l’ateismo vanno sempre d’accordo.
(Fulton J. Sheen, da “Tre per sposarsi” edizioni Fede e Cultura)