

In una certa misura, noi uomini siamo come tutto il resto del creato. Abbiamo, per esempio, l’esistenza al pari delle pietre, dell’ossigeno, della sabbia. Ma l’uomo ha anche la vita, che lo rende simile ai fiori e agli alberi, i quali vegetano, crescono e si riproducono. L’uomo, al pari degli animali, possiede anche i sensi e, per mezzo di essi, entra in contatto con il mondo esterno, dalle stelle fino al cibo che egli trova a portata di mano.
Ma l’uomo dispone, in più, qualcosa di unico: egli non è solamente la somma di tutte queste cose. Ciò che l’uomo ha di peculiare è il fatto di costituire un essere pensante e volente. Prima di tutto, può pensare concetti che trascendono la conoscenza dei sensi, come per esempio il concetto di causa, di bellezza, o di relazione tra gli oggetti. Ma l’uomo possiede anche la libertà: egli può scegliere, decidere e stabilire i suoi obiettivi, tanto vicini quanto lontani. Questo intelletto e questa volontà superiore dell’uomo aspirano a molte cose: per esempio come arricchirsi, l’essere titolare di un’azienda oppure sposare la figlia di un magnate.
Ma ciò a cui principalmente gli essere umani anelano è la felicità. Questa felicità non ruota attorno alle cose esteriori, come per esempio una determinata rendita esente da tasse, perché queste cose si trovano fuori dell’uomo. E l’uomo invece vuole sentirsi felice interiormente. Egli desidera tre cose: vita, conoscenza e amore.
La vita che vuole non consiste nel vivere ancora un paio di minuti, ma la vita in tutta la sua pienezza, senza rughe, senza angosce, senza vecchiaia. La verità che l’uomo cerca non è soltanto la conoscenza della geografia, a esclusione della filosofia: vorrebbe conoscere tutto. L’uomo è irrimediabilmente curioso. Infine, l’uomo vuole l’amore. Ne ha bisogno perché in se stesso è incompleto, e vorrebbe un amore senza gelosia e, soprattutto, senza sazietà: un amore che comporti un’estasi costante e in cui non ci sia né solitudine né disagio. Ma l’uomo, quaggiù, non trova quella vita immutabile, quella conoscenza che abbraccia ogni cosa, quell’amore che è gioia infinita.
Quaggiù l’individuo trova che la vita è legata alla morte, la verità all’errore, l’amore all’odio. Intuisce che non si tormenterebbe per una felicità così, se questa non esistesse. Egli non avrebbe occhi se non ci fosse la luce o non ci fossero cose da vedere. Se c’è la parte, deve esserci anche il tutto. Allora la sua ricerca diviene qualcosa di affine al cercare, nel teatro in cui ci troviamo, dove sia la sorgente della luce.
Non è sotto questa lavagna, perché qui la luce è mescolata all’oscurità; non è sotto la macchina da presa, perché lì si mescola all’ombra. Se noi, in questo teatro, desideriamo scoprire la sorgente luminosa, occorre volgerci a quella luce viva che risplende al di sopra di noi stessi. In maniera analoga, se vogliamo rintracciare la sorgente della vita, della verità e dell’amore che sono nel mondo, dobbiamo andare verso quella vita opposta alla sua ombra, la morte; verso quella verità slegata dalla sua ombra, l’errore; verso quell’amore che è disgiunto dalla sua ombra, l’odio.
Dobbiamo andare verso la pura vita, la pura verità, il puro amore: questa è la definizione di Dio. È Lui il fine ultimo della vita: da Lui proveniamo, e solo in Lui sperimentiamo la vera pace.
(Fulton J. Sheen, da “La vita merita di essere vissuta – edizioni Fede e Cultura” i discorsi in TV dell’Arcivescovo)